A cento anni dalla sua nascita, la poetessa, artista e curatrice Mirella Bentivoglio (1922-2017) è recentemente tornata nell’occhio del ciclone grazie alla retrospettiva Quanto Bentivoglio? organizzata alla Galleria Nazionale di Roma (aperta da ottobre 2022 a gennaio 2023), ma soprattutto grazie a Cecilia Alemani, che ha inserito le opere dell’artista nella 59ma Biennale di Venezia ricordando al pubblico l’esposizione Materializzazione del linguaggio, organizzata dalla stessa Bentivoglio per la 38ma Esposizione Internazionale d’Arte.
Nata a Klagenfurt (Austria) nel 1922, Mirella – figlia di Margherita Cavalli e del medico Ernesto Bertarelli – ha trascorso l’infanzia a Milano, studiando poi in Svizzera e in Inghilterra fino all’avvento della Seconda Guerra Mondiale. Plurilingue, è stata identificata da chi ben la conosceva come una persona curiosa e con molteplici interessi che spaziavano dalla storia dell’arte alla linguistica, dalla poesia alla letteratura. Lei stessa ha dichiarato di “essere considerata erroneamente uno scultore, sia pure atipico” e che il suo lavoro si svolgeva “in un ambito totalmente poetico: tra linguaggio e immagine, linguaggio e materia, linguaggio e oggetto, linguaggio e ambiente”. In realtà, Mirella ha vissuto molte vite, ma tutte collegate ai movimenti della neoavanguardia e del femminismo degli anni ‘60-’70, nonostante l’artista non abbia abbracciato il femminismo più estremo dell’epoca (basti ricordare che Bentivoglio era il cognome del marito, cognome da lei preso felicemente in segno di una scelta d’amore consapevole e non di un matrimonio imposto).
Mirella partiva dunque come poeta, pubblicando la sua prima raccolta di poesie, Giardino, nel 1943. La poesia tradizionale, però, non le bastava. Il limite della pagina sembrava sempre troppo presente. Nel 1965 trovò la soluzione leggendo un articolo che parlava di poesia visiva su un giornale torinese, dichiarando poi in seguito che quel momento fu “una rivelazione, come fare un buco e trovare il petrolio”. La fine degli anni ’60 fu un momento di scoperta e creazione: la Bentivoglio iniziò a creare poesie visive componendo parole e immagini tramite serigrafie, foto collage e collage. Tra i primi lavori ricordiamo Monumento (1968), una serie di sei litografie in cui l’artista gioca con la parola monumento – rappresentandola nella prima litografia nella forma di una colonna – e lentamente sgretolandola fino a farla crollare. Il movimento della colonna rappresentava in sé la caduta del simbolo maschile del logos, riportando di nuovo ai movimenti femministi dell’epoca.
La prima litografia della serie Monumento (1968), Photo Courtesy: Gramma_Epson Gallery
La Bentivoglio gioca con le parole quasi come fossero oggetti, le apre, combina, rimonta con estrema sagacia. Realizza un suo ritratto immaginandosi seduta su due cuscini di un divano, dividendolo a metà e creando il gioco di parole “Diva No” (Divano, 1973). Prende il logo della Coca Cola e lo trasforma nel Cuore della consumatrice ubbidiente (1975), lasciando in evidenza la parola “Oca” e criticando la cultura consumistica. Stampa il disegno di una bocca che pronuncia ti amo, ma divide la parola in modo che dalla bocca esca solo il suono “Am” (Ti amo, 1970).
Divano, 1973, Photo Courtesy: Gramma_Epson Gallery
Ti amo, 1970, Photo Courtesy: Gramma_Epson Gallery
Successo, 1969, Photo Courtesy: Collezione Paolo Cortese
Ispirandosi al dadaismo, Marcel Duchamp, Man Ray e in parte al futurismo, a metà degli anni ’70 Mirella porta la poesia visiva a diventare poesia oggetto, inizialmente scegliendo delle “lettere-forma” per lei simboliche come la E, la O e la H e trasformandole in sculture. La H, ad esempio, rappresenta per l’artista una gabbia-struttura chiusa, la E è segno di astrazione e ripetitività, mentre la O è simbolo di apertura e rappresentazione dell’universo. Mirella non solo crea sculture con la forma di queste lettere, ma continua la propria indagine artistica utilizzando altri oggetti come espressione simbolica. L’Ovo di Gubbio (1976), prima della serie, è una scultura realizzata con frammenti di pietra in occasione della Biennale di Gubbio del ’76. L’uovo – riconnesso alla lettera O – è per l’artista simbolo dell’universo, del nulla e del tutto, del vuoto e del pieno, ma anche della creazione e della maternità, che la Bentivoglio ha più volte identificato come esperienza che l’ha profondamente influenzata e guidata nel suo percorso artistico. L’uovo ritornerà spesso come costante nei lavori dell’artista, spesso legato ai libri (in marmo, asfalto, pietra e alabastro), simbolo di cultura e scolpiti sempre più frequentemente nella fase più matura della propria ricerca (un esempio è Poppare poesia, 2000).
L’Ovo di Gubbio, 1976, Photo Courtesy: Gramma_Epson Gallery
Libro con uovo, 1987, Photo Courtesy: Il Ponte
Il legame con i movimenti femministi dell’epoca ha spinto Mirella a diventare anche una delle prime curatrici a dedicare delle mostre totalmente ad artiste donne. La prima prova fu l’Esposizione Internazionale di Operatrici Visuali nel 1971, al Centro Tool di Milano. La consacrazione come curatrice avvenne però nel 1978 con l’invito a curare Materializzazione del Linguaggio alla Biennale di Venezia, dove la Bentivoglio raggruppò ottanta artiste e più di 150 opere di poetica visuale e ottenne un impatto a livello internazionale (venendo la mostra presentata nel ’79 alla Columbia University di New York con il titolo di From Page to Space). La Bentivoglio ha inoltre esposto le proprie opere in tutto il mondo, sia con mostre personali che collettive (curate da critici italiani e stranieri quali Gillo Dorfles) tra cui ricordiamo dieci partecipazioni alla Biennale di Venezia, tre mostre al Centro Pompidou di Parigi, Kassel (1982), MoMA (1992), Expo Milano (2015), Getty Center (2018). Nonostante ciò, l’artista non è mai diventata un “cult” del mercato dell’arte, mantenendo delle quotazioni sorprendentemente basse e delle vendite principalmente limitate sul territorio nazionale. Uno dei suoi libri con uovo del 1987, ad esempio, è stato venduto nel 2020 dalla casa d’aste il Ponte per 3.330 euro. Altre sue sculture (sia libri che non) sono ad oggi disponibile anche online su Artsy per prezzi che si aggirano tra i 5.000 e i 10.000 euro. Le serigrafie e le stampe sono invece valutate a circa 1000-1500 euro, rimanendo dunque accessibili al grande pubblico.
Mirella alla Biennale del ’78 con il sindaco di Venezia, Photo Courtesy: Paolo Cortese Gallery
Oggi una buona parte delle opere dell’artista sono visibili al Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto (MART), a cui Mirella ha donato nel 2011 la propria collezione e archivio di arte al femminile. Nel 2019 è inoltre nato online l’Archivio Mirella Bentivoglio, che grazie alle figlie dell’artista e al gallerista Paolo Cortese, continua a diffondere il lavoro di Mirella mediante attività di promozione e valorizzazione in Italia e all’estero.