Jannis Kounellis, Rosa, 1966, Tecnica mista e collage su carta, 75.5 x 56 cm, ed. 5/9
Il linguaggio, o meglio la comunicazione, è fatto di segni e simboli convenzionali (lettere, numeri, frecce, ecc.), ma questi elementi vanno collegati gli uni agli altri secondo una sequenza logica. Kounellis invece li dispone in modo apparentemente casuale, a volte in una fila ordinata e a volte in ordine sparso. Così facendo tali segni acquistano un’energia ed un’evidenza nuove. Potremmo dire addirittura che si riappropriano della loro libertà, svincolati come sono dalla loro funzione semantica. Si tratta di una riflessione sugli elementi che costituiscono il linguaggio e anche sulla loro valenza estetica ed espressiva.
Kounellis, Senza titolo, 1960 ca, Pittura su carta, 70.4 x 100 cm
È probabile che questa scelta così radicale di Kounellis si giustifichi alla luce del dibattito culturale di quegli anni. Oltre ai molti esempi citati dalla critica, potremmo ricordare anche quello di Gastone Novelli, attivo a Roma negli stessi anni, le cui opere riflettono in modo poetico proprio sui limiti del linguaggio razionale. Ma indipendentemente da tutto, l’approccio di Kounellis segna un punto di non ritorno.
Jannis Kounellis, Senza titolo, 1963, Olio su tela, 194 x 199.7 cm
È un nuovo modo di concepire l’arte, uno stratagemma per coinvolgere e far riflettere lo spettatore, per costituire una nuova dinamica relazione fra artista e pubblico. In questo modo l’arte si riappropria di una dimensione sociale e politica, esce dallo studio dell’artista per entrare nel dibattito della società. Non dimentichiamo che da lì a pochi anni Kounellis concepisce la celebre mostra del 1969 della galleria Attico dove vengono esposti non dei dipinti ma dei cavalli veri. Le opere dei primi anni Sessanta sono invece ancora dei dipinti, non ancora installazioni come quelle degli anni a seguire. Nonostante questo, si differenziano in tutto e per tutto dalle opere dei suoi contemporanei.
Kounellis, Senza titolo, 1961-1962, Pittura su carta, 70 x 100 cm
Niente a che vedere con l’Astrattismo e l’informale che avevano caratterizzato il decennio precedente. In queste opere si percepisce già un punto di vista completamente nuovo sulla funzione dell’arte. Al di fuori di un ristretto gruppo di artisti ed intellettuali, dubito che scelte così radicali ed innovative abbiano incontrato il gusto del pubblico. Anzi, da quanto pare di capire dalle testimonianze dello stesso artista, è probabile che siano state del tutto fraintese. Forse per questo Kounellis, a partire dal 1963, abbandona gli Alfabeti e ritorna alla pittura, in perfetta sincronia con le scelte di Mario Schifano che nello stesso anno rinuncia definitivamente ai quadri monocromi per tornare al paesaggio.
Qualcuno ha evidenziato punti di contatto con la Pop Art americana che nel 1964 trionfa con Rauschenberg alla Biennale di Venezia. Ma i temi di Kounellis non sono legati alla civiltà dei consumi, quanto ad immagini stilizzate (il mare, l’arcobaleno, la segnaletica stradale) realizzate con colori vivaci e con una materica pittorica ricca e sontuosa, dove l’andamento delle pennellate e le colature di colore rimangono ben visibili sulla superficie della tela.
È una scelta coraggiosa, che sembra rinnegare la fase precedente – quella degli Alfabeti – e che costituisce una parentesi breve ma significativa nella parabola dell’artista.
In mostra si può ammirare uno dei dipinti più significativi di questo momento: una grande tela raffigurate un arcobaleno, un inno a colore e alla bellezza della natura, quanto di più lontano si possa immaginare rispetto alle astratte ed enigmatiche tele di poco anteriori. Credo che questo confronto sia uno degli aspetti più interessanti e ancora conosciuti del percorso artistico di Kounellis. Fino alla fine degli anni Sessanta l’artista sperimenta diverse soluzioni e solo alla fine di questo decennio intraprende con decisione la strada che poi percorrerà con coerenza per tutti gli anni a venire.