Nel 1918, con il crollo dell’impero asburgico, i gioielli della corona d’Austria presero la via dell’esilio, in Svizzera: con loro partì anche il “Fiorentino”. Da allora, della “più stupenda cosa che sia in Europa”, come era stato definito dal cardinale Francesco Maria del Monte (uno dei più importanti committenti del Caravaggio), si sono perse le tracce. Il diamante dei Medici è andato perduto.
La riproduzione di quella gemma favolosa è stata in mostra a Palazzo Medici Riccardi Firenze a cavallo fra il 2021 e 2022. Realizzata in zirconia cubica dalla bottega artigiana orafa di Paolo Penko, la pietra è stata composta grazie a una scrupolosa ricerca iconografica e sulle tecniche antiche. Penko ha ricreato, per la prima volta al mondo, con la tecnica della fusione in osso di seppia, la preziosa montatura serpentinata con cui Maria Maddalena d’Austria era solita sfoggiare il diamante.
I documenti in mostra consentivano di ripercorrere le vicende di questo gioiello di cui si sono perdute le tracce, a partire dalle prime lettere in cui il diamante fu proposto al Granduca Francesco I nel giugno 1579: “La più bella cosa che venisse d’Asia giamai”, passando per l‘Inventario delle Gioie dello Stato di Toscana che Anna Maria de’ Medici, Elettrice Palatina, fece compilare nel 1741.
Nel libro Le six voyages de Jean Baptiste Tavernier (1676), l’esploratore francese pubblicò un resoconto dei sei lunghi viaggi esotici compiuti nel corso della sua vita, non mancando di ricordare i più grandi e bei diamanti da lui visti in Europa e in Asia; al secondo posto, dopo il diamante del Gran Mogol, compare proprio il “diamant du Grand Duc de Toscane”. L’unica raffigurazione attualmente nota del diamante in forma sia grezza sia sfaccettata è presente nei “Sunti del Tarpato” (1740), opera di Andrea da Verrazzano, desunta probabilmente da un disegno di inizio seicento, prima che la pietra venisse montata.