Ho incontrato la fotografia venticinque anni fa quando, fresca di laurea in storia dell’arte, ho iniziato a lavorare da Photo & Co., una delle prime gallerie d’arte italiane dedicate unicamente alla fotografia, aperta nel 1996 da Marco Voena e Valerio Tazzetti. Per me che venivo dai fasti del barocco della capitale Sabauda, dalla pittura di paesaggio del Grand Tour e dalle nature morte caravaggesche è stato subito amore a prima vista. Sugimoto, Vik Muniz, Mimmo Jodice, Gabriele Basilico, Richard Avedon e un mondo di artisti straordinari che avevano in comune un unico elemento: l’utilizzo della macchina fotografica per esprimere la propria visione, il proprio pensiero e la propria arte.
Bianco e nero, o colore non ha mai fatto alcuna differenza, ciò che conta (ancora oggi) quando guardo un’opera è l’emozione della storia dentro l’immagine, la qualità del lavoro e il contesto (artistico o storico) in cui è stata creata. La forza narrativa ed espressiva. Parte del fascino della fotografia credo sia proprio nella sua fragilità, caratteristica che un po’ l’avvicina alle opere su carta e ai disegni. Chi ama le foto vintage, in bianco e nero sa come la qualità della carta, della stampa e la conservazione siano importanti per indicarne il valore. Sa che nel dettaglio si trova il capolavoro, proprio come nel tratto dei grandi disegnatori.
Il problema, venticinque anni fa, era spiegare alle persone perché la fotografia si poteva considerare arte, perché non tutti gli scatti sono opere, perché una foto vintage non è la stessa cosa di una modern print e una stampa originale non è un poster. Oggi, credo (spero) che tutto questo sia consolidato e certificato dalla presenza nei musei, dalle mostre nelle gallerie internazionali e dalle quotazioni in asta. Come la scultura ad un certo punto è entrata a far parte delle grandi collezioni, anche la fotografia moderna e contemporanea si è conquistata il suo ruolo accanto ai grandi capolavori dell’arte. E non è per nulla insolito trovare l’incredibile serie “Helms Amendment” di Louise Lawler, o i “Cowboy” di Richard Prince accanto alle opere di Urs Fischer, Martin Kippenberger, o Rudolf Stingel nella neonata “Bourse de Commerce”, sede espositiva della Pinault Collection a Parigi.
Ciò che resta da chiarire (forse) è come definire questo mezzo artistico e tecnico così immenso e multiforme che comprende la fotografia di paesaggio e quella di moda, il reportage e il ritratto, la fotografia di ricerca e di in- terni, lo scatto rubato con una macchina usa getta e l’immagi- ne digitale rielaborata al computer. Cos’hanno in comune Man Ray e Giovanni Gastel, Edward Weston e Vincenzo Castella? Che cos’è la fotografia, perché acquistarla, come scegliere i giusti interlocutori? Nessuno meglio di chi la ama, la conosce e la colleziona ci può guidare in questo viaggio.
Sei interlocutori d’eccezione – collezionisti, curatori, galleristi e istituzioni – hanno accettato di condividere con noi la loro passione, visione ed esperienza. Pubblicheremo i loro contributi nelle prossime settimane, nella sezione fotografia. Abbiamo chiesto loro di indicarci due nomi – un artista italiano e uno straniero – tra quelli che amano e stimano di più e un loro “sogno nel cassetto”. Difficile sceglierne solo due, ma questa era la regola. Ringraziandoli per aver condiviso con noi artisti e immagini che occupano un posto speciale nel loro cuore, iniziamo un viaggio che sa di non poter essere esaustivo, ma che spero sia condiviso da chi ama la fotografia e d’aiuto a chi vorrebbe conoscerla meglio.