Iva arte, Francia dirà addio a leadership post Brexit?

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Tempo di ripensamenti fiscali in Europa. In base a una recente direttiva, la circolazione delle opere d’arte nell’Ue potrebbe subire un notevole impatto. Sarebbe così per l’Iva francese, che passerebbe dal 5,5% attuale al 20%: il ruolo che Parigi si è ritagliata nel mercato dell’arte al posto di Londra dopo la Brexit verrebbe compromesso. Ma le gallerie non ci stanno

La direttiva UE 2022/542 approvata il 6 aprile 2022 potrà avere un impatto significativo sul regime Iva relativo alla circolazione delle opere d’arte nei Paesi dell’Unione Europea. In particolare, le importazioni di oggetti d’arte e le rivendite successive effettuate da gallerie e altri operatori economici potrebbero essere assoggettati ad una aliquota all’importazione ordinaria, in luogo di quella ridotta attualmente applicata da alcuni Paesi UE. I singoli Stati valuteranno le misure necessarie per adeguarsi alla direttiva entro il 31 dicembre 2024 e le nuove disposizioni entreranno in vigore a partire dal 1° gennaio 2025


Il Comité professionnel des galeries d'art, che rappresenta sia le gallerie del mercato primario sia quelle del mercato secondario francese ha lanciato l’allarme lo scorso 22 febbraio con un comunicato stampa che subito ha trovato sponda sulla stampa locale e internazionale. L’adozione della direttiva UE n. 2022/542 da parte della Francia potrebbe portare l’Iva sull’importazione di opere d’arte e sulle prime cessioni effettuate dagli artisti al 20%, rimettendo in discussione l'IVA ridotta attualmente applicata al 5,5%. Per questo motivo sono state mobilitate tutte le controparti e i principali attori del mercato dell'arte nazionale compreso il Ministero della Cultura al fine di ottenere un'eccezione per le opere d'arte o affinché la Francia negozi una moratoria a livello europeo. “In nome dell'eccezione culturale e della difesa della competitività francese, il notevole danno che mercato dell'arte francese giustificano un'eccezione all'applicazione di questa direttiva dell'IVA sulle opere d'arte per la Francia”, sono le parole utilizzate nel comunicato stampa. Attualmente il mercato dell'arte francese è stato costruito su una forte importazione, con un'aliquota del 5,5% (una delle più basse in Europa). L’aliquota ridotta si applica anche sulle prime cessioni effettuate direttamente dagli artisti. Sui passaggi successivi si applica l’Iva ordinaria al 20% con il regime del margine su opzione e cioè in tal modo l’imposta viene applicata solo sull’incremento di valore alla rivendita. 


Questo impianto fiscale ha consentito alla Francia di coprire una quota del mercato dell’arte in Europa pari al 50% e del 7% nel 2021 a livello globale, secondo Art Economics. Un vero e proprio mercato internazionale dell'arte favorito anche dalla Brexit. Il contesto favorevole ha consentito negli ultimi anni l’incremento delle gallerie d’arte contemporanea provenienti dalle grandi economie internazionali, l’incremento delle vendite locali di due più importanti case d’asta mondiali, Sotheby’s e Christie’s, entrambe di proprietà di azionisti francesi, oltre all’ingresso di nuovi attori primari come Artcurial e la riorganizzazione delle case d'asta Drouin Drouot. Anche la principale fiera di arte internazionale Art Basel ha inaugurato una edizione nella capitale francese. Questo favorevole sistema economico potrebbe essere compromesso dalle norme contenute nella direttiva una volta recepite. La Francia potrebbe perdere il suo vantaggio non solo verso gli altri principali Paesi UE del mercato, come Germania, Olanda, Spagna e Italia, ma soprattutto verso i principali antagonisti internazionali come Hong Kong e Cina, Svizzera, Regno Unito e Stati Uniti. 


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A seguito della mobilitazione generale dei principali operatori del settore il Ministro Delegato ai Conti Pubblici, Gabriel Attal, ha organizzato un incontro con professionisti del mondo della cultura sul tema della direttiva IVA ed è stato attivato un gruppo di lavoro per studiare il miglior recepimento della direttiva nell’ordinamento interno. Al momento si discute su due scenari tra le parti coinvolte. Escludendo la possibilità di confermare l’attuale regime vigente, la prima possibilità prevede l’estensione dell'aliquota ridotta (del 5,5%, ndr) a tutte le transazioni aventi ad oggetto gli oggetti d’arte e dunque all’importazione e alle rivendite successive (senza però applicazione del regime del margine). Il che è visto favorevolmente dal settore, “ma avrà un costo per le finanze pubbliche che non è ancora stato quantificato”, ha dichiarato il Ministero dell'Economia. Una seconda opzione, esclusa dagli operatori del settore, prevede il mantenimento dell'attuale aliquota IVA del 20% sulla rivendita (con il sistema del margine), ma l'eliminazione dell'aliquota del 5,5% sulle importazioni che salirebbe al 20%. 


L’obiettivo è di arrivare a un impianto di recepimento della direttiva condiviso entro la fine dell’anno.


In Italia, il confronto sulle nuove norme europee sulla circolazione delle opere d’arte deve ancora essere avviato anche se alcune dichiarazioni a caldo ipotizzano una riduzione al 5,5% dell’Iva sulle importazioni e sulle prime cessioni (rispetto all’attuale 10%). Il sistema normativo Iva è il medesimo vigente per la TVA in Francia con le differenze legate alle aliquote che anche per la rivendita in Italia è più alta (22%). 


A pesare sulle soluzioni sarà l’impatto sui conti dello Stato. Ma il settore preme per una maggiore competitività rispetto proprio alla Francia non solo sul piano dell’Iva ma anche per le esportazioni in termini di snellimento delle procedure e di allineamento delle soglie di valore. 

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Specializzato in diritto tributario presso la Business School de Il Sole 24 ore e poi in diritto e fiscalità dell’arte, dal 2004 è iscritto all’Albo degli Avvocati di Milano ed è abilitato alla difesa in Corte di Cassazione. La sua attività si incentra prevalentemente sulla consulenza giuridica e fiscale applicata all’impiego del capitale, agli investimenti e al business. E’ partner di Cavalluzzo Rizzi Caldart, studio boutique del centro di Milano. Dal 2019 collabora con We Wealth su temi legati ai beni da collezione e investimento.

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