La famiglia del fondatore, l’ingegner Ferdinand Porsche, fu infatti costretta a trasferirsi in Carinzia, dove aveva delle proprietà, durante la seconda guerra mondiale, a seguito dei bombardamenti che avevano colpito Stoccarda, sede dello studio di progettazione Porsche.
Già nel 1900 crea per la fabbrica Lohner la prima auto al mondo dotata di motori elettrici montati direttamente sulle ruote, inizialmente solo le anteriori, creando così, di fatto, la prima auto a trazione anteriore della storia. Subito dopo dispone il montaggio dei motori su tutte e quattro le ruote, dando così vita alla prima auto a trazione integrale. Infine, cercando una soluzione che permettesse di aumentare l’autonomia e ridurre il peso della vettura, Porsche concepisce una nuova trazione mista elettrica – benzina, inventando così l’auto ibrida, oggi tanto in voga.
Nel suo successivo periodo alla Daimler, Porsche progetta le celeberrime e lussuose SS e Ssk, all’epoca vere status symbol. Negli anni trenta, quando è già a capo del suo studio di progettazione, idea poi le famose Auto Union 16 cilindri a motore centrale da competizione, che dominarono i circuiti di tutto il mondo. Ma il pallino di Ferdinand Porsche è la costruzione di una vettura economica rivolta alle masse, che può abbozzare, senza seguito, solo in alcuni progetti inizialmente destinati a Zündapp e Nsu.
Due porte, motore posteriore boxer quattro cilindri raffreddato ad aria, telaio con sospensioni a ruote indipendenti, una forma che ricorda effettivamente un coleottero, diventa un simbolo per affidabilità e versatilità, adatta a tutti gli impieghi ed a tutte le condizioni climatiche, diffusa in tutto il mondo.
Ma tutto ciò Porsche lo paga a caro prezzo: per avere ottemperato all’incarico ricevuto dal regime viene infatti arrestato ed accusato di collaborazionismo. Imprigionato in Francia, è liberato anzitempo grazie a Piero Dusio, il creatore della Cisitalia, che paga la salatissima cauzione perché vuole a tutti i costi Porsche per progettare la sua vettura da gran premio.
Si dice che proprio dai numerosi viaggi in Italia effettuati per incontrare Dusio, in Ferdinand Porsche e in suo figlio Ferry balena l’idea che darà origine alla casa automobilistica che porta il loro nome.
Con quei soli 40 cavalli di potenza riescono a creare una vettura sportiva, agile, leggera, sulle prime con telaio tubolare, carrozzeria in alluminio e motore centrale, per poi riprendere, soprattutto per questione di costi, lo schema “Maggiolino”, con telaio in lamiera d’acciaio scatolata e motore a sbalzo.
Dal numero del progetto, 356, nasce anche il nome della vettura, peraltro ispirata ad un particolare esemplare di Maggiolino notevolmente ribassato e profilato, approntato a ridosso della guerra per una corsa che poi non verrà disputata.
Grazie ad un paio di committenti svizzeri, che si impegnarono ad acquistare alcuni esemplari fornendo altresì i materiali Volkswagen la cui importazione in Austria era ancora inibita, la produzione della 356 viene avviata, decollando immediatamente, specie a seguito del successo ottenuto al Salone di Ginevra del 1949 e per merito della grande qualità costruttiva.
Da allora è tutto un crescendo: la Porsche 356 si impone prepotentemente sulla scena automobilistica spinta anche dai giudizi lusinghieri forniti dalla stampa specializzata e dalle numerose vittorie ottenute nelle competizioni, specie nella propria classe, stante la piccola cilindrata della vettura.
Con gli anni ‘50 la Porsche può finalmente tornare a Stoccarda e con l’aiuto di un carrozziere locale, poi inglobato nella fabbrica, può finalmente produrre in serie le proprie vetture per poi, dal 1952, costruire i nuovi stabilimenti. Proprio dal ‘52 la Casa, a seguito del crescente successo ed al diffondersi della sua fama, avverte la necessità di dotarsi di un logo sempre più riconoscibile: in uno slancio di patriottismo Ferry Porsche idea uno stemma contenente un omaggio alla città di Stoccarda, rappresentata da un cavallino rampante, unito ad un tributo alla relativa regione, il land Baden – Wurttemberg, simboleggiato da corna di cervo e righe colorate.
E in effetti quel simbolo, che teoricamente non dovrebbe avere nulla a che fare con la Ferrari (salvo il giallo di Modena aggiunto da quest’ultima) fu donato come portafortuna ad Enzo Ferrari dalla madre di Francesco Baracca, asso dell’aviazione nella prima guerra mondiale che, seguendo le usanze di allora, aveva adottato il cavallino sulla carlinga del proprio aereo in segno di omaggio nei confronti del pilota del quinto aereo abbattuto, guarda caso un pilota di Stoccarda.
Con il ritorno in Germania si accentua la continua evoluzione della 356, grazie anche al superamento della dimensione esclusivamente artigianale. Le varie serie si susseguono vorticosamente così come le modifiche tecniche ed estetiche, che porteranno in breve la vettura a non avere più alcun elemento in comune con il cugino Maggiolino.
Nonostante la 356 continui a ricordarne vagamente la linea, ne ricalchi l’architettura e ne conservi il caratteristico rumore metallico, la Porsche seguitò ad essere universalmente percepita come auto di tutt’altro lignaggio, di grande esclusività e di natura super sportiva.
Non si tratta solo di un’impressione. La 356 è un vero concentrato di eleganza e sportività. La sua linea bassa e sinuosa, ad un tempo semplice e sofisticata, tradisce la cura dedicata alla ricerca della più efficace aerodinamica. Il resto lo fa la leggendaria tenuta di strada e la stabilità, il confort e la maneggevolezza, anche in virtù delle qualità dello sterzo, della frizione e del cambio.
Anche se, come tutti i purosangue di razza, per domarla bisogna conoscerla e saperci fare. E questo è un valore aggiunto, per gli appassionati. Controllarne sapientemente le sbandate, assecondandone il comportamento da tipica “tutto dietro”, è, oltre che necessario, esaltante e dà un piacere di guida unico e inconfondibile.
Il motore, originariamente di 1131 cc, fu declinato in un crescendo di cilindrate, 1300, 1500, 1600, fino a 2000, raggiungendo, nella versione Carrera, i 130 cavalli. Il nome Carrera contraddistingue ancora oggi i modelli Porsche più potenti e fu attribuito per la prima volta ad una 356 (la 1500 GS Carrera) sulla quale era stato installato il motore dalla Typ 550, una piccola super sportiva in alluminio plurivittoriosa, che giunse tra l’altro terza assoluta alla famosa e impegnativa Carrera Panamericana.
Un esemplare in versione spider della 550, che conobbe grande successo in America, fu però fatale per James Dean, vittima di un incidente in California a bordo della sua “Little bastard”, così come aveva voluto soprannominarla, facendone scrivere il nome sulla coda.
E proprio per il mercato americano fu allestita anche un’altra particolarissima ed essenziale versione spider, divenuta anch’essa leggendaria, la Speedster, estrema due posti alleggerita, con una capote in tela di fortuna, un piccolo esile parabrezza, finestrini in plastica fissi ed asportabili; una versione all’epoca molto economica, pensata per il pubblico più giovane, divenuta oggi molto apprezzata e ricercata. In effetti, tutte le 356 hanno conosciuto grande successo negli Stati Uniti, dove era frequente vederla nelle mani delle star della musica o del cinema: non solo James Dean, ma anche Paul Newman in Detective’s story ne guidava una, mentre Steve McQueen e Janis Joplin ne furono possessori.
L’unicità e l’eccezionalità di qualche esemplare sfugge ovviamente a qualsiasi stima, così come è successo per la 356 C cabriolet del ’65, già appartenuta a Janis Joplin, vera icona del rock e della cultura hippie. L’auto, peraltro personalizzata da una livrea psichedelica rappresentante la storia dell’universo, è stata infatti battuta nel 2015, in una importante asta di New York, per la somma di 1,8 milioni di dollari.