A scatenare la furia del Drake la richiesta degli otto di allontanare dalla fabbrica la signora Laura, cioè la moglie di Ferrari, che aveva preso a frequentarne assiduamente i locali e che, a causa dell’instabilità psichica di cui soffriva, si abbandonava spesso ad intemperanze nei confronti dei dipendenti.
Ferrari non accettò l’ingerenza nella sua vita privata, ma anche, e soprattutto, le modalità della richiesta: la fredda e formale raccomandata di un avvocato.
Chiunque avrebbe scommesso in quel momento per una imminente ed irrimediabile crisi della Ferrari, tra l’altro campione del mondo in carica, che si privava di botto, con un colpo di spugna, delle persone più vicine ad Enzo e dei migliori tecnici del momento.
I due ingegneri di punta, Carlo Chiti e Giotto Bizzarrini, si accasarono inoltre in breve tempo presso la neonata ATS del Conte Volpi di Misurata, che puntava a sfidare la Ferrari nelle massime competizioni.
Ma la Ferrari tenne botta, grazie alla crescita delle strutture superstiti, ed in breve tempo l’ATS chiuse i battenti per problemi economici e Bizzarrini tornò nella sua Livorno, dando vita ad un suo studio di progettazione, la Autostar.
Il geniale tecnico toscano era riuscito qualche anno prima a far colpo su Enzo Ferrari grazie alla sua sfrontatezza e creatività, dimostrate quando si recò a Maranello per il primo incontro a bordo di una Topolino da lui completamente elaborata, ricarrozzata con una ardita livrea aerodinamica, accreditata di oltre 150 km/h e già oggetto della sua tesi di laurea.
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Bizzarrini, che aveva inoltre alle spalle più di un triennio presso l’Alfa Romeo durante il quale aveva affiancato il mitico collaudatore Consalvo Sanesi, venne assunto da Ferrari seduta stante e diventò in breve tempo il Responsabile Sviluppo e Collaudi.
Sono famose le sgroppate condotte quotidianamente sulla statale dell’Abetone a bordo dei prototipi Ferrari, ingaggiando memorabili sfide con Guerino Bertocchi, collaudatore delle rivali Maserati, e addirittura con il farmacista di Maranello, che lo provocava a bordo dell’altra modenese Stanguellini.
Nel periodo alla Ferrari, dopo aver collaborato alla realizzazione di alcune tra le più famose Rosse di sempre (la Testa Rossa, la Mondial 500, la Spider California, la 250 SWB), Bizzarrini ideò ed impostò l’auto più famosa ed apprezzata di tutti i tempi, la 250 GTO, della quale è considerato padre indiscusso.
Alcune tra le caratteristiche più conosciute e specifiche della GTO, come il motore arretrato rispetto agli standard, la linea modellata dalle esigenze funzionali e addirittura le inconfondibili tre “D” rovesciate sul frontale, sono opera emblematica di Giotto Bizzarrini, che tuttavia non potrà poi occuparsi delle future gesta della sua creatura.
Dopo avere progettato con l’Autostar un’altra pietra miliare dell’automobilismo sportivo come il famoso motore 12 cilindri delle Lamborghini, Bizzarrini venne ingaggiato da Renzo Rivolta, industriale milanese proprietario dell’industria termoidraulica Isothermos, che dopo alcune esperienze come costruttore motociclistico oltre che di microvetture (la celebre Isetta della quale cedette i diritti alla BMW), si mise in testa di fare concorrenza a Ferrari e Maserati, costruendo lussuose supercar ad alte prestazioni.
Utilizzando i potenti e non eccessivamente costosi motori V8 della Chevrolet Corvette e dopo un primo modello denominato GT300, dal binomio Rivolta – Bizzarrini nacque la Iso Grifo, stupenda vettura con linea disegnata da Giugiaro, allora in forza alla carrozzeria Bertone.
La Grifo incarnava perfettamente l’idea di GT di Renzo Rivolta, che produceva auto con grandi prestazioni, assolutamente all’altezza delle rivali, che tuttavia non rinunciavano all’eleganza, al lusso e al confort, tanto da accendere il desiderio di industriali rampanti e di gente di spettacolo, come l’Aga Khan, Giannino Marzotto, John Lennon, Gino Bramieri, Little Tony e Mario Del Monaco.
Ma Bizzarrini covava ben altri progetti. Le competizioni. E tanto fece da convincere Rivolta, inizialmente contrario, ad approntare anche una versione da corsa della Grifo, facendo leva sull’ampia pubblicità che poteva derivare dalle vittorie nelle corse, come accadeva a Ferrari e Maserati. Parallelamente alla Grifo stradale, denominata A3/L, allestì quindi la variante A3/C, dove “C” stava per competizioni.
Al Salone di Torino del ’63, la prima (la GT Lusso) era esposta nello stand Bertone, la seconda (la versione da corsa) stranamente in quello Iso-Rivolta, quasi a suggellarne la paternità.
Ma Rivolta non era ancora del tutto convinto. Dopo qualche fugace apparizione in competizioni internazionali, senza dedicarvi tuttavia grandi risorse, l’industriale abbandonò il progetto, puntando esclusivamente sulla versione da strada.
Bizzarrini non demorse e chiese e ottenne dalla Iso-Rivolta il permesso di sviluppare in proprio la vettura, oltre a tutti i pezzi già disponibili, tuffandosi a capofitto nella nuova avventura, quella di costruttore in proprio.
Nacque a Livorno la Prototipi Bizzarrini incentrata sul modello 5300 GT Strada, nella sostanza una Grifo A3/C ribattezzata. Si trattava di una vettura estrema, quasi esagerata, la massima espressione delle teorie del costruttore.
Il motore era arretrato come non mai, tanto da penetrare nell’abitacolo, dove si insinuavano praticamente due degli otto cilindri e da dove si accedeva, tramite il classico sportellino portaguanti del cruscotto, addirittura allo spinterogeno. Più che anteriore il motore era quasi centrale, il che conferiva alla vettura, oltre ad un baricentro molto basso, un equilibrio dei pesi eccezionale.
Costruita in due versioni, delle quali una era solo un po’ ingentilita nell’abitacolo, la Strada era comunque bassa, incredibilmente bassa, appena 111 centimetri.
Di grande impatto e personalità, aveva ampi parafanghi sporgenti, grandi ruote, soprattutto quelle posteriori (come nelle auto da corsa), un muso praticamente rasoterra ed una coda alta e tronca, anche questo un chiodo fisso di Bizzarrini, che ne avrebbe per di più disegnato personalmente i primi bozzetti, poi definiti ed armonizzati da Giugiaro, dopo un passaggio alla galleria del vento dell’Università di Pisa.
Il motore era sempre il V8 della Corvette con il suo tipico suono cupo e profondo, così diverso dai contemporanei italici V12 acuti e stridenti; il telaio era a piattaforma e la scocca in alluminio, salvo qualche esemplare in vetroresina fatto allestire da Bizzarrini ad un cantiere navale.
All’interno non c’era nulla di regolabile, nemmeno il sedile di guida, che veniva predisposto in fabbrica sulle misure del cliente.
Ma le inevitabili scomodità erano ampiamente compensate dalla grande guidabilità, dalla stabilità e dalla sensazione generale di sicurezza sprigionata dalla vettura, dotata inoltre di inusuale dimestichezza, per un’auto di quel tipo, anche nel traffico cittadino, grazie alla sua notevole elasticità.
Le grandi qualità della vettura non bastarono però a garantire a lungo la sopravvivenza della Bizzarrini, sempre gravata dalla cronica assenza di capitali, nonostante la messa in cantiere di una piccola sportiva, la 1900 GT Europa con motore Opel, che non superò le 17 unità.
I 133 esemplari della 5300 GT costruiti fino al 1969, tutti diversi uno dall’altro perché praticamente fatti a mano, sembra siano tutti ancora esistenti, a ulteriore riprova della bontà del progetto.
Ben pochi di questi si trovano in Italia, essendo ambiti dai collezionisti di tutto il mondo, specie americani; le rare volte nelle quali si affacciano nelle grandi aste internazionali costituiscono un fortissimo richiamo e sono sempre molto contesi, raggiungendo e superando agevolmente il milione di euro.