Non sfigurò affatto, tra questi mostri sacri, la presenza della Chevrolet Corvette, l’auto profondamente a stelle e strisce che non solo riuscì nell’impresa di contrastare l’invasione delle auto europee nei primi anni ’50, ma conobbe un successo tale da essere ancora oggi prodotta ininterrottamente e sempre con la medesima formula, motore anteriore, trazione posteriore, due posti secchi.
Tale successo arrise non solo alle blasonate supercar prodotte da Ferrari, Maserati, Mercedes e Aston Martin, ma anche alle più piccole e agili Porsche, Triumph, Mg, Alfa Romeo e Jaguar.
Proprio da queste ultime trassero ispirazione i vertici della Chevrolet ed in particolare lo stilista Harley Earl, californiano doc nato ad Hollywood, a capo della divisione Art and Colour della capogruppo General Motor di Detroit. Earl, oggi ricordato per avere creato alcuni degli stilemi automobilistici più tipicamente americani (quali le pinne di coda, le carrozzerie bicolori o i parabrezza panoramici), acquistò segretamente una Jaguar XK120, al fine di studiarne e carpirne i dettagli. Da questi studi prese così avvio il progetto della nuova vettura, che nelle proporzioni riecheggiava l’architettura e l’impostazione della Jaguar, con la lunga parte anteriore e la coda sfuggente, ma che nella linea subì l’influenza della più moderna Cisitalia 202, che tanta impressione aveva suscitato oltre Oceano. Per la parte tecnica si utilizzarono elementi standard già esistenti in casa Chevrolet, come il motore 6 cilindri da 115 cavalli, il cambio automatico e i freni a tamburo.
Il nome fu scelto tra centinaia di proposte: Corvette, come le leggere e veloci navi da guerra, quasi a ricordarne il comune materiale di costruzione, sottolineando nel contempo l’agilità dell’auto, in contrasto con i coevi mastodonti americani che brulicavano sulle highway. Il successo iniziale fu notevole, incentivato anche dalle grandiose iniziative promozionali intraprese, quali la carovana di cento veicoli itineranti per cinque mesi nelle grandi città americane e la decisione di consegnare i primi esemplari solo a personaggi famosi, al fine di farli fotografare a bordo delle nuove nate. La Corvette sembrava aver colpito nel segno.
prezzo di acquisto. Ma già con il restyling del ’56 si ebbe la consacrazione della Corvette. Finalmente arrivò il meritato successo grazie a nuovi motori, tra cui un 8V di 4600 di cilindrata e 270 cavalli, a nuovi colori, a nuovi cambi manuali e alla rivisitazione della linea, con l’eliminazione delle pinne di coda e l’introduzione della caratteristica e celebre scalfatura ogivale, spesso verniciata con colore a contrasto, che correva sulla fiancata, dal parafango anteriore alla fine della portiera.
Ogni anno si susseguivano ulteriori miglioramenti fino a quando nel ’58, allorché uscì la serie con i fanali sdoppiati e terminali di scarico inglobati nei paraurti (soluzione ripresa oggi da molte auto moderne), si cominciò a pensare ad una nuova “Vette”, vezzeggiativo con il quale veniva chiamata la Corvette.
Bill Mitchell, che aveva sostituito il pensionato Earl proprio dal ’58, ruppe decisamente con il passato.
La nuova Corvette, denominata Stingray, dal nome di una specie di pesce razza, era più bassa, corta e affusolata ed era disponibile anche in versione coupé, sulla quale fu per il primo anno installato un suggestivo lunotto avvolgente diviso in due parti da una nervatura longitudinale, detto split window, che ricordava leggendarie concept car quali la Bugatti Aérolithe degli anni ’30 o le Alfa Romeo Bat disegnate da Bertone. Molte le innovazioni proposte dalla Stingray: un nuovo telaio a quattro ruote indipendenti, il motore arretrato, i muscolosi parafanghi, le portiere che raggiungevano il tetto. Diversi i motori V8, di oltre 5 litri, da 250 a 360 cavalli, a carburatori o a iniezione.
Finalmente la Corvette era un’autentica Gran Turismo: poderosa, avveniristica, maneggevole, sicura, appagante. Dalla prima serie, che comprende la produzione 1953/1962 ed è comunemente conosciuta come C1, passando per la generazione Stingray, 1963/1967, nota come C2, fino alla terza serie, 68/82, detta Mako Shark o C3, la Corvette ha conosciuto un crescendo inarrestabile di cavalleria e di centimetri cubici. Fino all’inversione di tendenza determinata dalle severe norme antinquinamento statunitensi, a partire dalla C4 presentata nel 1983, con cui la Corvette ha assunto una fisionomia sempre meno classica, perdendo paraurti, cromature e cavalli per acquisire cruscotti digitali e motori e scarichi “puliti”.
Se in tutte le sue declinazioni la Corvette ha sempre mantenuto la sua anima fortemente yankee, specie negli anni ’50 e ’60 ha simboleggiato la vera America “on the road”, evocata nelle C1 dalle ridondanti cromature tipo Las Vegas e dagli interni stile juke-box, nelle C2 dalle potenze esuberanti e dai lunotti split window riecheggianti atmosfere aeronautiche genere Top Gun. Ha rappresentato, in campo motoristico, una concreta realizzazione dell’American Dream, in grado di esaltare l’orgoglio e il patriottismo americano e per questo è stata celebrata in ogni campo, dal cinema, che ha visto la Corvette protagonista in innumerevoli film, alla televisione, ove un’intera serie di divulgazione turistica fu girata per ben tre anni esclusivamente su una Corvette, fino al mondo della musica, dove fu cantata da celebri artisti, dai Beach Boys a Bruce Springsteen.
Il “Boss” ne è del resto tutt’ora possessore, così come una miriade di altre celebrities, vedi Sylvester Stallone, Bruce Williams, Jon Bon Jovi, Slash dei Guns N’Roses, Robert Downey Jr., Paul Mc Cartney. Non solo, cavalcando l’enorme popolarità conquistata dagli astronauti negli anni ’60, che negli States erano vere e proprie star, la Chevrolet concesse loro, dapprima in dono e poi a nolo alla cifra simbolica di un dollaro, fiammanti Corvette, acquisendo facilmente autorevolissimi testimonial.
La conquista dello spazio determinò così la nascita di un ulteriore status symbol, le “AstroVette”, le Corvette degli astronauti, che si aggiungeva ai tanti oggetti cult legati al mondo delle esplorazioni spaziali, come il “Moon Watch”, il cronografo Omega Speedmaster sbarcato sulla Luna, o la “Space Pen”, la penna a sfera Fisher funzionante anche in assenza di gravità. E sempre la Corvette è divenuta l’auto del Presidente, essendo addirittura comparsa in uno spot ufficiale della campagna elettorale di Joe Biden, che ne è felice possessore da oltre cinquant’anni. Una Corvette Stingray verde del ’67, modello roadster, è infatti il regalo che Biden ricevette da suo padre, responsabile di una concessionaria Chevrolet, in occasione del suo primo matrimonio e, nonostante la passione che lo ha indotto a conservarla in condizioni impeccabili fino ad oggi, è costretto a rinunciare al piacere di guidarla, in quanto vietato, per il capo della Casa Bianca e per i suoi famigliari, dal protocollo di sicurezza.
Le valutazioni della leggenda a stelle e strisce, nelle versioni C1 e C2, sono considerevoli anche al di fuori del continente americano, nonostante il gran numeri di esemplari prodotti; basti pensare che nel luglio ’92 fu festeggiato nello stabilimento del Kentucky il milione di auto prodotte. Per i primi esemplari le quotazioni oltrepassano sovente i 100mila euro, per superare anche i 200mila per le versioni a iniezione o per le “split window”.