Ma non sempre è così. Anche in archeologia esiste il collezionismo giovane, quello formatosi grazie agli acquisti sul mercato. «E naturalmente anche in questi casi è necessario procedere a indagini approfondite, scoprire se il bene sia stato dichiarato o meno di eccezionale importanza archeologica, se la soprintendenza vi ha posto vincoli. Se l’oggetto non presenta criticità, può essere messo in vendita». Se però successivamente emergono recriminazioni da paesi ricchi di storia archeologica come per esempio Egitto, Grecia, Colombia, la stessa Italia, «lo Stato interviene nella vendita con diritto di prelazione».
Interviene il professor Manlio Frigo, of counsel BonelliErede. «Le convenzioni Unesco del 1970 e Unidroit del 1995 – complementari – colpiscono il fenomeno del traffico illecito di asset culturali, imponendo l’obbligo di restituzione dei beni sottratti dopo l’entrata in vigore delle convenzioni stesse e fornendo un quadro normativo di riferimento ai paesi che ne sono privi. Nella loro commerciabilità, «i beni culturali presentano delle criticità maggiori rispetto agli altri. Bisognerebbe sempre identificare quelli che sono stati oggetto di scavi clandestini da quelli oggetto di transazioni lecite. Nel caso italiano, fa da spartiacque la legge del 1909: tutto ciò che è stato rinvenuto successivamente, è di proprietà dello Stato».
Cavallo bronzeo, VIII secolo avanti Cristo, Grecia. Courtesy Sotheby’s
A tal proposito, il professore fa presente il cambio di orientamento della Corte di Cassazione. «Al momento, spetta al privato che si dichiari proprietario del bene archeologico l’onere di provare che lo scavo da cui proviene l’oggetto sia avvenuto prima del 1909. Fino a pochi anni fa però la stessa Cassazione dichiarava che doveva essere lo Stato a provarlo. Trattasi, come si dice, di “prova diabolica”». Ciò non toglie che anche in Italia vi siano beni di natura archeologica che possano circolare lecitamente, in virtù di «una stretta collaborazione fra case d’asta e Soprintendenza. Esiste inoltre un database consultabile prima di mettere in vendita un bene».
E se per caso ci si dovesse imbattere in un reperto, che cosa è consigliabile fare? La risposta degli avvocati è all’unisono: «E’ consigliabile non toccare i reperti e avvisare immediatamente la Soprintendenza». Inoltre, aggiunge l’avvocato Stabile, «fino a che la Soprintendenza non si muove, i ritrovatori sono per legge custodi dei beni rivenuti.
Per quanto riguarda le monete antiche, invece? Risponde il professor Manlio Frigo: «Sono trattate come beni archeologici solo se rinvenute effettivamente in degli scavi. Altrimenti, sono beni numismatici, soggetti ad altre regole. Sono protetti solo se presentano caratteri di rarità e di eccezionalità dal punto di vista numismatico e culturale».