Il consorzio giornalistico ha di recente comunicato di aver identificato più di 1.600 opere d’arte di circa 400 artisti provenienti da tutto il mondo scambiate segretamente attraverso società di comodo e trust nei paradisi fiscali.
Tra le opere emerse vi sono i lavori di Bansky “Girl with Balloon”, “Flower Thrower” e due versioni di “Rude Copper”, a cui si aggiungono opere di Picasso e Warhol e antichità Khmer provenienti dalla Cambogia.
L’inchiesta sui Pandora papers nasce dall’acquisizione da parte del ICIJ di oltre 11,9 milioni di file riservati. I documenti trapelati provengono da 14 società di servizi offshore di tutto il mondo, per lo più consulenti e studi professionali situati a Panama e nelle isole vergini britanniche, che hanno creato società di comodo e altri strumenti offshore per garantire ai loro clienti privacy, esenzioni fiscali, opacità. Utilizzando i documenti dei Pandora Papers, ICIJ e The Washington Post hanno identificato quasi 30 trust con sede negli Stati Uniti collegati a operazioni poco chiare o, in altri casi, coinvolti in illeciti.
La facilità con cui l’arte può essere scambiata in modo riservato consente a soggetti che operano nel settore con finalità esclusivamente speculative di compiere operazioni al limite della legalità e, in alcuni casi, oltre la legalità per massimizzare il profitto nell’ambito di transazioni milionarie.
Tra i casi emersi dalla documentazione esaminata dal consorzio giornalistico vi è quello di un broker finanziario londinese che ha utilizzato un fondo offshore in Nuova Zelanda e una complessa struttura con partecipazioni in società dislocate tra Malta, Svizzera, Italia e Isole vergini britanniche per acquistare più di una dozzina di opere di Banksy, a partire dal 2009. All’epoca dei fatti, la Nuova Zelanda offriva anonimato e esenzioni fiscali agli stranieri che vi stabilivano dei trust. Successivamente, alla fine del 2012, il gestore dei beni del trust ha venduto tre delle opere di Banksy a una galleria londinese conseguendo profitti trasferiti poi al broker.
Nell’ambito di queste operazioni il broker è stato perseguito in Italia per evasione fiscale nel 2015, dopo che la proprietà di una dozzina di opere d’arte detenute dal fondo gli è stata trasferita e le società messe in liquidazione. I documenti trapelati hanno mostrato che oltre 2,5 milioni di dollari in euro e in sterline sono entrati e usciti dai conti bancari del trust negli anni precedenti al processo del 2017. Nel 2017 il broker è stato ritenuto colpevole di aver evaso circa 6,6 milioni di euro di imposte in Italia e di aver collaborato con una rete criminale internazionale. Un anno dopo, la corte d’appello ha annullato la condanna per la criminalità internazionale e ha dovuto dichiarare prescritto il reato tributario.
In un altro caso, emerso sempre dalla documentazione esaminata dall’ICIJ, una nota galleria d’arte di Bruxelles ha fatto transitare tutte le più importanti operazioni di vendita di opere d’arte effettuate nel 2017, pari a 15 milioni di euro, in una sua società costituita solo formalmente a Hong Kong. Ciò allo scopo di beneficiare dell’esenzione da imposizione dei profitti prevista dalla ex colonia britannica per le società locali che producono redditi all’estero. Tutte le attività commerciali della società, compreso l’acquisto, la gestione e la vendita delle opere d’arte, erano infatti svolte in Europa. I pagamenti delle opere venivano poi effettuati su conti bancari a Basilea o Singapore con segretezza dei beneficiari. E così i profitti si sono incrementati in modo esponenziale.