“Io ho fatto tante case a Milano”, ricordava l’architetto in un’intervista per la celebre azienda produttrice di mobili e complementi d’arredo De Padova. “Quando la gente sceglie di abitare in una delle case che ho progettato, ci va perché è di 2 locali, 3 locali, ha 2 bagni, è vicina o lontana dall’ufficio, poi, quando esce di casa, in genere non sa neanche di che colore sia all’esterno. Però, se va in un negozio e prende la mia lampada, allora vuol dire che il suo ragionamento è stato: “ma guarda che scemata, è di una semplicità, avrei potuto farla io”, che è il più bel complimento che io possa ricevere. Entra, la compra, la paga, la porta a casa, influenzerà in qualche modo la sua vita, se gli piace è perché ha intuito che là dentro c’è qualche cosa, che poi è la semplicità, la cosa più complicata del mondo”. Nascono così capolavori come, tra gli altri, le lampade Eclisse e Atollo per Artemide e Oluce, il letto Nathalie per Flos, il divano Maralunga e la sedia Carimate 892, entrambi per Cassina.
Una famiglia di architetti, una passione
Ludovico (per tutti Vico) Magistretti nasce a Milano nell’ottobre del 1920 sotto le stelle dell’architettura. È la professione del padre (Pier Giulio, che morirà prematuramente lasciando al figlio le redini dello studio in via Conservatorio, 20), del nonno e del bisnonno materno, Gaetano Besia, che negli anni Trenta dell’Ottocento aveva realizzato Palazzo Archinto, poi sede del Collegio Reale delle Fanciulle, ultimo esempio di architettura civile in stile tardo neoclassico a Milano.
Ma la professione dell’architetto, a Magistretti, non gli è imposta dall’alto. Intraprende gli studi classici al Liceo Parini, che gli insegnano “a distinguere, come concetto di base, quello che è assolutamente importante, anzi importantissimo, da quello che è meno importante, e quello che, ancora, può essere così così: per esempio, mettere il verbo in fondo, non è quello che conta, però ti dà l’idea che nella vita ci sono delle cose estremamente importanti e delle cose che seguono. Se hai sbagliato quella importante, tu puoi fare benissimo quelle che seguono, ma purtroppo non funziona. Questo è un insegnamento latino”.
Nel 1937 si iscrive al Politecnico di Milano. Durante la guerra riesce a spostare il suo corso di studi a Losanna, dove ha la fortuna di avere come maestro Ernesto Nathan Rogers, l’architetto triestino tra i fondatori dello studio BBPR, che dopo le leggi razziali aveva trovato rifugio nella città svizzera. Dopo la laurea a Milano nel 1945, Magistretti intraprende subito la carriera di architetto lavorando nello studio del padre, che morirà l’anno seguente, sotto l’ala di Paolo Chessa. Lavora per oltre sessant’anni nello stesso studio, nel palazzo costruito proprio dal padre anni prima. Al suo fianco per una vita, Franco Montella, “il disegnatore col camice”, come ricorda la designer Patricia Urquiola in un’intervista a Casa Vogue, a formare “una specie di coppia, quasi un fidanzamento buffo di lavoro: Montella era discreto, timido, un po’ angelo, e Vico forte, severo, integro, fino all’osso”.
Vico Magistretti, dall’architettura al design
Nel 1947 partecipa alla prima di tante triennali, la VIII; la IX, nel 1951, gli varrà una medaglia d’oro, mentre la X, nel 1954, il Gran premio. Negli anni Cinquanta arrivano le prime commissioni importanti: il quartiere reduci d’Africa al QT8, insieme alla chiesa di Santa Maria Nascente (1953-55), sempre al QT8. Ma anche la torre al Parco in via Revere (1953-56), il palazzo per uffici in Corso Europa (1955-57). Fino agli anni Sessanta, con la realizzazione delle torri di piazzale Aquileia (1962-64), e altre numerose commissioni nella provincia milanese, come il Municipio di Cusano Milanino (1969).
Due pezzi iconici: Eclisse e Atollo
Seguono le due opere più iconiche, forse, dell’intera produzione di Magistretti, entrambe lampade. La prima è la Eclisse, realizzata per Artemide nel 1965, che vincerà il Compasso d’Oro due anni dopo. Sono gli anni della corsa allo spazio: il designer realizza una lampada da comodino che si articola in due gusci emisferici di metallo smaltato; quello all’interno può essere ruotato a modulare il fascio di luce, a ricordare la Luna e le sue fasi, che la rendono diversa da notte a notte. L’idea arriva sul metrò, uno schizzo sul biglietto: “in piazza Conciliazione a Milano, dopo un incontro di lavoro, mi è stato detto che tutti hanno un letto. Pensai bene di disegnare una lampada da notte. In metropolitana ho disegnato dietro un biglietto un ricordo dei Miserabili di Victor Hugo, la lampada dei ladri con fascio di luce regolabile. Ho telefonato a Ernesto Gismondi (il patron di Artemide, ndr) e gli ho descritto l’ipotesi di tre semisfere su un perno, diversa dalla lampada di Jean Valjean di Hugo, ma utile per leggere a letto”. Una lampada pensata per fare una luce “con la quale è bello far l’amore”, che “ha segnato, anche con le scottature sulle dita, qualche generazione”.
Vico Magistretti, una vita per l’essenzialità
Tra i più di 300 pezzi realizzati da Magistretti in totale, la maggior parte è ancora oggi in produzione. Uno manca all’appello delle sue creazioni, l’oggetto che il designer avrebbe voluto aver progettato: l’ombrello. “Penso che chi ha inventato l’ombrello sia straordinario”, ricordava egli stesso, per la sua semplicità, il suo niente, la sua tensione. Considerato l’architetto dell’essenzialità italiana, del “less is more” alla Mies van der Rohe, sovente ripeteva che “la semplicità è la cosa più complicata da ottenere, perché nel buon design come nell’architettura bisogna togliere, togliere, togliere”. Dopo una vita a realizzare e insegnare architettura, Magistretti si spegne a Milano nel settembre 2006. Dal 2010, la Fondazione Vico Magistretti, su volontà della figlia Susanna, accoglie i visitatori e i curiosi appassionati nelle stanze di quello studio che lo vide ogni giorno per una vita, le finestre al piano terra con vista sulla chiesa di Santa Maria della Passione e del Conservatorio della “sua” Milano.