Un falso è un’opera contraffatta che viene però spacciata per originale, la copia invece rivela chiaramente la sua natura di replica. Vi sono poi le libere ispirazioni, à la manière de o gli omaggi a, come le Z di Maurizio Cattelan che sono un palese riferimento ironico ai tagli di Lucio Fontana.
Nel momento in cui una replica di un’opera viene commissionata a un altro artista a tutti è chiaro che si tratti di una copia; il problema sorge quando si perde memoria della storia di un manufatto e passano decenni o secoli. Un caso estremo potrebbe essere quello di Vincent Van Gogh le cui riproduzioni ad olio su tela possono essere facilmente ordinate su decine di siti web per poche centinaia di euro: oggi per noi è scontata la differenza tra originale e copia, ma lo sarà anche tra 500 anni?
Questa situazione crea, oltre a complicazioni di natura economica, delle problematiche interpretative, poiché gli studiosi possono arrivare a costruire percorsi storico-artistici errati e incompleti oppure a individuare modus operandi dell’artista non rispondente alla realtà.
Uno dei casi più eclatanti è quello della Storia dell’arte nell’antichità composta da Johann Joachim Winckelmann nella metà del Settecento, testo considerato basilare per lo studio e la conoscenza dell’arte antica. Egli riteneva che il vertice della produzione artistica dell’umanità fosse rappresentato dalla statuaria classica greca, senza però sapere (o per lo meno pretendendo di non saperlo) che i pezzi considerati come originali greci non erano in realtà altro che copie di epoca romana.
La conoscenza di questa usanza romana si perse in epoca medievale così che quando, a partire dal Cinquecento, attraverso gli scavi archeologici vennero trovati alcune statue antiche esse furono comunemente ritenute di mano dei leggendari artisti della Grecia classica ed ellenistica, trattandosi invece di copie di epoca romana. Ricordiamo ad esempio il risalto che nel Cinquecento ebbe il ritrovamento del Gruppo del Laocoonte, oggi nei Musei Vaticani, e all’enorme influenza che questa statua, copia in marmo da originale in bronzo del II secolo a.C., esercitò sugli artisti di epoca rinascimentale e barocca. Lo stesso successe per altre sculture rinvenute come l’Ercole Farnese, opera del III secolo d.C. copiata dall’originale in bronzo di Lisippo del IV secolo a.C. (Napoli, Museo Archeologico Nazionale) o l’Apollo del Belvedere, copia in marmo da un bronzo di Leocare (Roma, Musei Vaticani), considerato come modello assoluto di perfezione estetica. Questo errore interpretativo sorto nel Cinquecento si trascinò così fino all’epoca di Winckelmann e successivamente.
Sicuramente è più difficile contraffare un’opera antica piuttosto che una contemporanea, perché non si trovano più i materiali usati nel passato ed è complicato indurre artificialmente l’invecchiamento di un bene. I più abili falsari sono tuttavia passati alla storia per essere riusciti a mettere in seria difficoltà gli esperti, utilizzando gli stessi supporti e le tecniche del passato e coinvolgendo nel processo di vendita altri mercanti o studiosi, più o meno ignari della truffa.
Per le opere contemporanee il problema è ancor più evidente perché un falsario ben organizzato può produrre anche centinaia di lavori, utilizzando i materiali originali facilmente acquistabili sul mercato.
Gli artisti, consapevoli di questo fenomeno, spesso tengono segrete le proprie tecniche e nascondono i segnali che svelano ad occhi esperti l’autenticità di un’opera: Lucio Fontana tra i vari escamotage utilizzati scriveva sul retro di ogni taglio delle frasi diverse.
È inoltre prassi comune per gli artisti vendere le loro opere assieme a un certificato d’autenticità.
In alcuni casi l’inserimento in un catalogo ragionato o l’esistenza di un’autentica non sono però sufficienti a evitare l’acquisto di un falso: si conoscono infatti diversi casi di corruzione o di errori commessi dagli stessi enti certificatori. Il caso Dadamaino, scoppiato nel 2017-2018, ne è la prova: da un’indagine portata avanti dal Nucleo Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale di Monza è emerso che circolavano quasi cinquecento Volume contraffatti dell’artista milanese, vari dei quali muniti di mendace certificazione di autenticità.