Anselm Kiefer a Venezia: la materia si fa storia in Laguna

In occasione della cinquantanovesima Biennale di Venezia e dei 1600 anni di vita della città, il 26 marzo ha aperto negli storici spazi di Palazzo Ducale la mostra “Questi scritti, quando verranno bruciati, daranno finalmente un po' di luce (Andrea Emo)” del tedesco Anselm Kiefer. Su invito della Fondazione Musei Civici di Venezia (MUVE) e con l’aiuto della Galleria Gagosian, l’artista ha realizzato per l’occasione quattordici lavori site-specific esposti a contatto con i dipinti di Tintoretto e di Jacopo de Palma nelle Sale dello Scrutinio e della Quaranta Civil Nova, rappresentando l’incendio che ha avvolto Venezia e il palazzo del Doge nel lontano 1577.

I maestosi dipinti, creati da Kiefer nel periodo della pandemia nello studio di 36.000 mq (l’ex magazzino del brand Samaritaine) alle porte di Parigi, non solo esprimono al meglio stile materico ed incisivo dell’artista, ma anche il suo interesse per la storia. Piazza San Marco avvolta dalle fiamme e l’immagine della bara vuota del santo, portano Anselm a riflettere nuovamente sui concetti di distruzione e di rovina, che ha più volte dichiarato essere per lui “non la fine ma l’inizio” e “fonte di ispirazione derivante da un senso di shock e sopraffazione” a lui molto familiare.
Uno scorcio delle opere di Anselm Kiefer a Palazzo Ducale
Anselm Kiefer è nato nel 1945 tra le macerie della Seconda guerra mondiale, partorito dalla madre nel rifugio antiaereo dell’ospedale di Donaueschingen, nella regione tedesca della Foresta Nera. Dell’infanzia l’artista si ricorda il rigore impartitogli dal padre, ufficiale dell’esercito e insegnante, ma anche l’apertura nei confronti dell’arte ostracizzata dal Terzo Reich (Anselm è stato chiamato così in onore del pittore classico Anselm Feuerbach). Kiefer ha iniziato la propria carriera accademica come studente di giurisprudenza, facoltà presto abbandonata in favore dell’accademia d’arte di Düsseldorf, dove ha incontrato nel 1971 Joseph Beuys, il suo principale maestro (nonché grande appassionato di miti e simbologia, che ha ampiamente insegnato ad Anselm).
Gli anni accademici sono stati per l’artista una continua scoperta della storia più recente, avendo egli stesso più volte spiegato che negli anni Sessanta “l’olocausto non esisteva” e che solo a metà del decennio successivo i tedeschi hanno iniziato a conoscerlo profondamente. Nel 1969, spinto dalla voglia di confrontarsi con il silenzio calato sulla recente storia della Germania, Kiefer ha realizzato le sue prime opere in forma fotografica. Intitolate “Occupations”, le foto ritraggono l’artista davanti a diversi monumenti europei (soprattutto in Svizzera, Francia e Italia), vestito come un membro del Partito Nazionalsocialista e imitando il saluto nazista. All’epoca le opere furono più volte osteggiate dalla critica e dal pubblico, trovando però alcuni sostenitori nel mondo dell’accademia, tra cui proprio Beuys.
Una fotografia della serie “Occupations”, 1969
Nonostante non sia un artista strettamente politicizzato, Kiefer è da sempre noto per credere nei propri ideali anche a discapito della vendita delle opere. La mostra veneziana è un esempio felice di collaborazione con le istituzioni, in cui Kiefer immagina Venezia – ispirandosi alla seconda parte del Faust di Goethe - come crocevia tra Oriente ed Occidente, un punto comune in contrasto con la situazione attuale del continente europeo, particolarmente diviso da movimenti populisti di estrema destra. D’altra parte, numerosi sono gli esempi in cui Kiefer ha rifiutato di collaborare con Paesi di cui non condivideva le scelte politiche (tra i tanti, i rifiuti dell’artista a partecipare ai propri openings negli Stati Uniti durante il mandato di George W. Bush, come segno di protesta contro la guerra in Iraq). In occasione della mostra “Walhalla” tenutasi alla White Cube di Londra nel 2015, Anselm ha scherzosamente dichiarato di amare i suoi lavori più recenti perché “sono così giganteschi da renderne impossibile l’esposizione”.
L’artista ha anche fatto un passo indietro rispetto al mercato dell’arte, ritenendolo troppo speculativo e poco trasparente, con particolare riferimento a collezionisti non più in grado di esprimere la propria opinione in modo sincero. Per questo motivo, ha richiesto alle gallerie che lo rappresentano di non esporre i propri lavori nelle fiere commerciali quali “Frieze”, nonostante le sue opere abbiano costantemente realizzato ottimi risultati sul mercato secondario. Alcuni esempi sono “Laßt tausend Blumen blühen!” (1999) venduto da Christie’s Londra per 1.988.750 pound nel 2017, “Athanor” (1991), aggiudicato per 2.228.750 pound da Sotheby’s Londra nel 2017, “Dem Ubekannten Maler” (1983) acquistato da Christie’s New York nel 2011 per 3.554.500 dollari e “Dein Goldenes Haar, Margarete!!” (1981) venduto nel 2011 per 1.594.500 dollari da Sotheby’s New York.
“Laßt tausend Blumen blühen!” (1999) e “Athanor” (1991) di Anselm Kiefer
Il mercato e i collezionisti hanno dunque da sempre potuto apprezzare lo stile materico di Kiefer - ben espresso anche dai dipinti della mostra veneziana – diversamente dai libri che rappresentano circa il sessanta per cento dei lavori dell’artista, tenuti spesso “segreti” e non venduti al grande pubblico. Anselm ha spiegato che i libri sono per lui un modo di ragionare sul proprio processo creativo e di portare novità ragionando sugli eventi passati. I quadri, invece, lo limitano maggiormente poiché lo costringono a scegliere che stile e soggetto rappresentare, escludendo ogni altra possibilità precedentemente immaginata. I materiali usati, quali metallo, terra, sabbia, cenere, fiori, tessuti e paglia, sono ritenuti dall’artista “spirituali” e con una propria anima. Kiefer ama inoltre esporre i quadri alle intemperie, come pioggia e sole, rendendo reale il concetto di trasformazione della materia nel tempo.
Alla soglia degli ottanta anni, l’artista non sembra in alcun modo volersi fermare. “Sono ispirato soprattutto dalla domanda a cui non ho mai risposta: perché io sono?” ha dichiarato. “Se osserviamo l’universo, capiamo quanto sia grande e da quanti secoli esista. In questo contesto, è difficile comprendere come mai noi siamo qui. Non c’è una vera risposta. Ma quando creo, cerco di dare un significato a quello che faccio, e per me questo è abbastanza”.