Private market: un settore multiforme con ampi spazi di crescita

Nel 2021, il comparto ha raggiunto nuovi massimi in termini di raccolta, a 1,2 mila miliardi di dollari, il 20% in più sul 2020, con deal per un valore complessivo di 3,5mila miliardi e l’aum al record di sempre, 9,8mila miliardi di dollari.
Il private equity ha segnato un aum a quota 6,3mila miliardi di dollari e un rendimento (Irr) del 27% nel 2021.
La corsa dei private market non si arresta. L’asset class
multiforme che ha iniziato ad attrarre l’attenzione degli investitori in un
contesto molto diverso da quello attuale (apparentemente a crescita costante e
con tassi zero o negativi) continua ad avere numeri eccellenti. Se prima i
mercati privati erano scelti per trovare rendimento in un mondo di borse
estremamene volatili e di bond in perdita, oggi è la decorrelazione rispetto a
listini al ribasso e a mercati comunque mossi dall’incertezza a farli favorire.
I principali private market mostrano volatilità relativa
inferiore a quella dei mercati pubblici e rendimenti che, almeno dal 2008 e
fino a prima del Covid, si sono tenuti sempre sopra il 10% per tutti i comparti
(lo scrive McKinsey nel suo report annuale sul settore).
Nell’ultimo anno della rilevazione della società di
revisione, il 2021, il comparto aveva raggiunto nuovi massimi in termini di
raccolta, a 1,2 mila miliardi di dollari, il 20% in più sul 2020, con deal per
un valore complessivo di 3,5mila miliardi e l’aum al record di sempre, 9,8mila
miliardi di dollari.
Private equity sugli scudi
A trainare questa crescita eccezionale, il private equity con l’aum a quota 6,3mila miliardi di dollari e un rendimento (Irr) del 27% nel 2021. Nell’immobiliare, la raccolta è cresciuta soprattutto nelle strategie opportunistiche e value; mentre nel private debt la crescita non si è mai fermata dal 2011 (ed è l’unico segmento a registrare un segno più anche nell’anno della pandemia, il 2020): a trainarlo le strategie di direct lending, che nell’ultimo decennio hanno pesato per il 73% della crescita di raccolta. E infine le infrastrutture: anche queste nel 2021 hanno superato per la prima volta i mille miliardi di dollari in aum. I capitali stanno fluendo sempre più verso segmenti che abilitano la transizione energetica e la digitalizzazione, come le energie alternative, le soluzioni di clean-tech e di “infratech”.
I numeri (in chiaroscuro) dell'Italia
Questo fermento è lo stesso che sta vivendo anche il nostro Paese, pur con una scala decisamente diversa. In questo caso, i numeri di Aifi (in collaborazione con PwC) arrivano a dare una dimensione del fenomeno Pe e vc fino alla metà del 2022 e dunque come quelli internazionali non integrano ancora del tutto i nuovi elementi di incertezza congiunturale, dalla guerra ucraina alla crisi energetica.
I dati sono in chiaroscuro. La raccolta complessiva è stata invece di 1,7 miliardi di euro, -40% rispetto al primo semestre del 2021. Sono aumentati gli operatori protagonisti di closing (26 contro 21, e questa è una buona notizia segnaletica di un mercato che matura). Dall’altro lato, il primo semestre 2022 ha registrato un ammontare investito (10,9 miliardi di euro, in crescita del +139% rispetto ai 4,7 miliardi del primo semestre 2021).
Si tratta del valore più alto mai raggiunto in un semestre nel mercato italiano: da sottolineare che tale ammontare risulta fortemente influenzato da alcune operazioni di dimensioni particolarmente elevate: 8 operazioni con ammontare superiore ai 150 milioni di euro, 2 delle quali hanno riguardato il comparto delle infrastrutture. Il numero di operazioni si è attestato a 338, in crescita del 34% rispetto alla prima parte del 2021 (253 investimenti).
Nel dettaglio, il segmento dell’early stage (investimenti in imprese nella prima fase di ciclo di vita, seed, startup, later stage) è cresciuto del 50% in ammontare (442 milioni di euro) e del 63% per numero di operazioni, 210. Il buyout (acquisizioni di quote di maggioranza o totalitarie) ha registrato un aumento dell’86% per ammontare, pari a 3,6 miliardi, e del 24% per numero, pari a 87. L’expansion (investimenti di minoranza in aumento di capitale finalizzati alla crescita dell’azienda) ha registrato, invece, una diminuzione dell’attività, con solamente 186 milioni di euro (contro i 299 milioni del I semestre del 2021, -38%), investiti in 15 operazioni (-35%). Per quanto riguarda le infrastrutture, gli investimenti sono cresciuti in modo significativo in termini di ammontare, pari a 6,5 miliardi di euro (+227%), grazie soprattutto ad una operazione particolarmente rilevante, mentre il numero di operazioni si è attestato a 15 (contro i 25 dello stesso periodo dell’anno precedente, -40%).
Investimenti ed exit e tipologia di investitori
Con riferimento ai disinvestimenti, nel corso del primo semestre del 2022 ne sono stati realizzati 49, un numero che segna una crescita del 14% rispetto al primo semestre del 2021, quando erano 43. L’ammontare disinvestito, calcolato al costo storico di acquisto, si è attestato a 1.483 milioni di euro, contro i 697 milioni del primo semestre del 2021 (+113%). Nella distribuzione dei disinvestimenti per tipologia, nel primo semestre ha prevalso la vendita a soggetti industriali in termini di numero, 24, pari al 49% del numero totale, mentre in termini di ammontare disinvestito, la cessione a altri operatori di private equity (698 milioni di euro) si è classificata al primo posto con il 47% del totale.
L'ultimo dato da rilevare (non per importanza) è relativo alla fonte della raccolta: assicurazioni, 24%, fondi pensione e casse di previdenza, 17%, e settore pubblico, 12%. Ma c’è un vulnus che resta tale nel mercato italiano dei mercati privati: la quasi totale latitanza del private banking. “Il volume dei private markets nei portafogli del private banking risulta ancora contenuto, pari allo 0,62% circa del totale, sebbene negli ultimi tre anni vi sia stata una decisa crescita – dice a We Wealth Antonella Massari, Segretario Generale di AIPB (Associazione Italiana Private Banking) - Stiamo dedicando molta attenzione nell’analisi delle caratteristiche degli investimenti nei mercati privati italiani, perché rappresentano un’opzione importante per soddisfare l’esigenza di finanziamento dei progetti di transizione e innovazione che le PMI sono chiamate ad affrontare, in un contesto di forti trasformazioni in chiave digitale e “green”. In tal modo viene aperto un canale per raccogliere finanziamenti di lungo periodo per sostenerne i piani di crescita e internazionalizzazione”.
Massari (Aipb): "Ecco perché le strategie di private market crescono tra gli Hnwi. E cosa c'è da fare per intercettarne la domanda"
Da una recente sondaggio condotto da Aipb tra i suoi associati, risulta che gli investimenti di lungo periodo, come quelli nei private markets, saranno ancora tra le preferenze d’investimento dei clienti; lo stesso risultato si ha per le strategie alternative, viste in forte crescita. “Affinché aumenti significativamente la quota di investimenti alternativi nei portafogli dei clienti non professionali, i gestori dovrebbero tenere in considerazione anche altri aspetti quali, ad esempio, le modalità di richiamo del capitale, che risultano poco attrattive per investitori non professionali – conclude Massari - Va sottolineato inoltre che il potenziale d’investimento della clientela Private crescerebbe significativamente se i gestori alternativi identificassero esplicitamente in questa famiglia un “target market positivo” per la loro offerta di investimenti in economia reale”.
L’orizzonte prolungato che caratterizza tali progetti di transizione e il focus sulle PMI non quotate si sposano con le caratteristiche che connotano, ad esempio, i FIA e spiegano la crescente attenzione posta dal Legislatore sia europeo, con gli Eltif, che nazionale, con la revisione del DM 30, volta ad ampliare il numero di clienti che possono avere accesso ai FIA riservati.
“Le novità regolamentari che abbiamo riscontrato migliorano senza dubbio le opportunità di investimento in Italia – continua Massari - L’abbassamento dell’investimento minimo non frazionabile da 500 mila a 100 mila euro ha agevolato i gestori che normalmente privilegiano la natura riservata dei FIA, caratterizzata da minori vincoli di concentrazione per gli investimenti e un processo autorizzativo più snello. L’opzione data ai gestori di prevedere finestre di uscita anticipate per gli investitori rende sicuramente più attrattiva la forma chiusa dei FIA, perché favorisce la creazione di un mercato secondario, che rappresenta una scelta appetibile soprattutto per la clientela del Private Banking, in funzione della possibilità di conoscere gli investimenti effettuati da un fondo già avviato”.
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