- Maggiore potere contrattuale: in primo luogo, la natura illiquida e a lungo termine del private equity, la significativa dispersione dei rendimenti tra i fondi, così come la raccolta fondi bilaterale e basata sulle relazioni, conferisce ai fondi di private equity un forte potere contrattuale quando si dividono i rendimenti. Con la decelerazione della crescita del settore, il pendolo del potere contrattuale inizierà a spostarsi verso i limited partners e in modo più permanente rispetto a quanto visto durante la crisi finanziaria del 2008.
- Controllo dei costi: il private equity è un’asset class costosa, con rendimenti netti che non sempre battono i benchmark pubblici. Le commissioni di gestione dei grandi fondi tipicamente vanno dall’1,5% al 2%. Si tratta di una struttura lucrativa per i manager, con i flussi di cassa scollati dalla performance del fondo, specialmente nel caso dei grandi fondi. Un aumento dei tassi comporterebbe un maggiore controllo della struttura dei costi e dunque un valore aggiunto per l’industria.
- Consolidamento: i nuovi fondi nuovi e quelli più piccoli sarebbero i più esposti all’aumento dei tassi. Questi fondi difatti hanno una struttura di costi incorporata più alta. Di contro, i fondi più grandi hanno più spazio per comprimere le commissioni e hanno una maggiore capacità di sperimentare nello spazio di investimento. Tutto questo dà alle società di maggiori dimensioni una possibilità maggiore di resistere alle pressioni avverse, con conseguente consolidamento del mercato.
- Maggiore trasparenza: infine, le richieste di una maggiore trasparenza in tutto il settore stanno crescendo. Ci sono state recenti proposte legislative per regolare il settore, in particolare per quanto riguarda la trasparenza delle commissioni. Se si raggiungono progressi significativi sulla divulgazione delle commissioni e delle spese, è probabile che si accentuino le pressioni negative che provengono dal nuovo ambiente dei tassi d’interesse.