Negli ultimi anni in Europa si sono registrati oltre 1.600 miliardi di investimenti in società non quotate attraverso gli strumenti alternativi
Per Marco De Benedetti il private equity può considerarsi “un compagno di viaggio che aiuta ad attrarre talenti in maniera più efficace e aprire i propri orizzonti”
Borsa Italiana incoraggia “le aziende che stanno facendo bene, crescono e hanno nel dna una “equity story” da Borsa a pensare in ottica di Borsa”, spiega Barbara Lunghi
Private equity, il ‘compagno di viaggio’ della trasformazione delle imprese
“Negli ultimi anni in Europa si sono registrati oltre 1.600 miliardi di investimenti in società non quotate attraverso gli alternativi. Tra questi, il private equity si posiziona al primo posto e oggi vanta un importo pari a quasi 600 miliardi di euro. Questo per un motivo: il private equity permette di investire direttamente nel cuore del tessuto imprenditoriale di un Paese”. Dati e visione appartengono a Marco Belletti, ceo e ad Azimut Libera impresa, uno dei partecipanti all’evento.
Per Belletti il private equity è uno strumento essenziale per le imprese, perché “permette di intercettarne le eccellenzequando le società non hanno ancora espresso tutto il loro potenziale. Nel private equity ci sono margini di crescita più ampi e la possibilità di intercettare un processo che va oltre il mero apporto di capitale. Secondo il manager, il private equity “va visto come un importante strumento che affianca l’impresa nell’affrontare le sfide competitive a livello globale che probabilmente da sola non riuscirebbe a sostenere.
“In Italia c’è stata una crescita importante del settore e sta andando avanti. Un tempo il mondo del private equity era limitato ad alcuni tipi di operazioni, oggi è diventato abbastanza mainstream”, commenta Marco De Benedetti, managing director & co-head of the European buyout group Carlyle. Il motivo della crescita – spiega il manager – “è che molte aziende hanno riconosciuto quello che è avvenuto in altri Paesi: il private equity non è solo una fonte di capitale”.
“Se sei alla ricerca solo di un finanziamento, forse il private equity non è neanche la strada migliore e più economica. È da considerarsi come un socio che porta qualcosa di complementare. Credo che possa essere un compagno di viaggio che aiuta ad attrarre talenti in maniera più efficace e aprire i propri orizzonti”, aggiunge De Benedetti.
È d’accordo Claudio Costamagna, fondatore e presidente di CC & Soci, oltre che banchiere e presidente di Cassa Depositi e Prestiti da luglio 2015 a luglio 2018. “Mi piacerebbe molto vedere nascere dei veri campioni nazionali europei”, commenta Costamagna. Una volta piccolo era bello – prosegue -. Oggi non è più così, e in Italia c’è un problema di sottodimensioni”.
Per Costamagna “Nel mondo imprenditoriale italiano si sta diffondendo la consapevolezza che o si creano le premesse per poter crescere e giocare un ruolo importante in Europa e nel mondo oppure si esce. In questo senso il private equity ha due ruoli: quello di compratore potenziale se l’imprenditore decide di vendere e quello di accompagnatore della società che vuole capitalizzarsi, managerializzarsi e aggregarsi”. Perché secondo il manager: “Solo attraverso aggregazione puoi competere. Il private equity non porta solo capitali, ma una serie di competenze estremamente complementari per imprenditori”.
Ipo, diventare grandi in Borsa
Perché quotarsi? “Per essere presenti nei capital markets, dove hai accesso a modalità di finanziamento più immediate per realizzare il tuo business plan. Puoi fare un aumento di capitale, emettere obbligazioni: ci sono maggiori opportunità per realizzare i tuoi obiettivi di business”, spiega Mike McCrory, presidente della società di consulenza I-Bankers Securities Incorporated. “Posso anche aggiungere che il dialogo con le banche sarà più facile. Dobbiamo offrire a società e investitori assistenza per giustificare il valore in Borsa di un’azienda”.
I presupposti per cui una società possa definirsi “pronta” all’Ipo non sono pochi. “Si parte da un’azienda sana che ha tanta voglia di crescere e con un prodotto valido, unico e che dia un vantaggio competitivo”, chiarisce Andrea Colombo, portfolio manager Azimut Capital Management. “Questo si traduce in un fatturato che cresce e in margini elevati. Ma serve una struttura, sia dal punto di vista di capitali – non avere troppo debito – che manageriale. Non sempre è facile trovare aziende con questa caratteristiche”.
E le aziende che vogliono quotarsi su Borsa Italiana, sono accompagnate in un percorso di crescita a tappe che permette loro di non affrontare il lancio senza paracadute. “Nel tempo abbiamo costruito una filiera di prodotti che consentono un approccio graduale a questo processo”, ricorda Barbara Lunghi, head of primary markets Italy di Borsa Italiana. “Questa gradualità, di fatto, consente alle aziende di approcciare il mercato in anticipo rispetto a un tempo. Man mano che si prosegue nella filiera, le aziende possono diventare più sofisticate dal punto di vista manageriale, della reportistica ecc”.
“Noi incoraggiamo le aziende che stanno facendo bene, crescono e hanno nel dna una “equity story” da Borsa a pensare in ottica di Borsa: declinare le proprie strategie in un piano industriale credibile, sistemare la governance, operazioni che – quotata o meno – vanno a vantaggio della società. Un processo da intraprendere con gradualità, per arrivare pronti all’appuntamento con il mercato. Gli investimenti si fanno per la crescita dell’azienda, poi andranno bene anche per la Borsa”, conclude Lunghi.