In Italia il numero dei deal è cresciuto progressivamente negli ultimi cinque anni fino a sfiorare la quota di 1.085 operazioni a fine 2019, per poi crollare del 24% nel secondo trimestre del 2020
Alla fine dello scorso anno il private equity raccoglieva circa il 30% dell’intero mercato delle fusioni e acquisizioni con 11.428 operazioni per un controvalore di 889 miliardi di dollari
Nei prossimi mesi, il 65% degli operatori di private equity, con riferimento alle aziende in portafoglio, si concentreranno soprattutto sulle strategie di add-on
Dopo un 2019 record con quasi 37mila operazioni per un valore complessivo di 3.112 miliardi di dollari, il mercato M&A globale non è rimasto immune alla pandemia. Secondo la ricerca Private capital, human capital: trend globali presentata da Kpmg in occasione del convegno annuale di Aifi, nel secondo trimestre dell’anno è stata registrata una contrazione delle operazioni del 17% (15.754 contro 19.061 dello stesso periodo dello scorso anno) per un valore complessivo di 1.387 miliardi di dollari. Ma secondo Paolo Mascaretti, partner di Kpmg, la seconda metà dell’anno potrebbe mostrare dati ancor più negativi.
“Tra i mesi di gennaio e giugno abbiamo rilevato una prima flessione del mercato M&A, ma è poco rappresentativa”, spiega Mascaretti. Da un lato, infatti, il primo trimestre non è stato toccato dal lockdown e dall’altro il secondo ha visto alcuni paesi restare ancora fuori dall’occhio del ciclone. Di conseguenza, precisa, “è probabile che quel -17% possa ancora peggiorare nel secondo semestre”. Non è da meno la situazione italiana dove il numero dei deal è cresciuto progressivamente negli ultimi cinque anni fino a sfiorare la quota di 1.085 operazioni per 52 miliardi di dollari a fine 2019, per poi crollare del 24% nel secondo trimestre del 2020 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Un aspetto, spiega Mascaretti, legato anche al fatto che il Belpaese abbia anticipato la chiusura forzata rispetto agli altri paesi, registrando in questo modo “un impatto un po’ più significativo del trend”, anche se non si tratterebbe di “un calo così drammatico come nel 2009”. Intanto, l’attività cross border resta significativa, con 203 operazioni Italia su Italia, 69 Italia su estero e 109 estero su Italia.
Tiene il private equity, che a fine 2019 raccoglieva circa il 30% dell’intero mercato delle fusioni e acquisizioni con 11.428 operazioni per un controvalore di 889 miliardi di dollari. Secondo un’elaborazione di Kpmg sui dati Refinitiv, nel secondo trimestre dell’anno si parla di una contrazione del -11% con 5.308 operazioni contro le 5.963 dello stesso periodo dello scorso anno e un controvalore di 404 miliardi di dollari. “A livello globale il mercato del private equity è cresciuto con un’evoluzione ben più ripida rispetto all’M&A – continua Mascaretti – Per il momento sembra essere più resiliente, perché i fondi sono comunque in attivo e cercano target sul mercato”.
Fonte: elaborazione Kpmg su dati Refinitiv
Secondo un’analisi di Aifi sull’impatto del covid-19 sul mercato italiano del private capital, inoltre, nei prossimi mesi gli operatori di private equity, con riferimento alle aziende in portafoglio, si concentreranno soprattutto sulle
strategie di add-on (65%), vale a dire di acquisizione di società da parte delle target già in portafoglio, e sul consolidamento nel mercato (51%). Gli operatori di venture capital, invece, punteranno l’attenzione sulla rifocalizzazione dei piani delle loro
startup nel 63% dei casi e sulla razionalizzazione dei costi per il 58%. Restano gli operatori di private debt che si concentreranno sulla rinegoziazione di covenant originari (79%) e sull’allungamento della scadenza del rimborso (37%).
“I numeri mostrano come l’emergenza covid-19 possa essere vista anche come un’opportunità per consolidare, grazie agli add-on, le proprie target permettendo così di diventare più forti e capaci di affrontare il mercato non solo italiano ma internazionale – commenta Innocenzo Cipolletta, presidente di Aifi – Consolidare, guardare a nuovi mercati, studiare strategie differenti sono alcuni degli ingredienti che i nostri soci hanno messo in campo per affrontare in maniera responsabile e costruttiva questi mesi, con l’obiettivo di lavorare ancora di più e meglio a fianco delle proprie aziende in portafoglio”.
Gli operatori di private equity e quelli del venture capital, continua lo studio, si focalizzeranno sulla ricerca di nuovi investimenti (rispettivamente il 76% e il 58%), sulla gestione del portafoglio (62% contro il 58%), su ulteriori finanziamenti nelle società in portafoglio (32% contro il 21%) e sul fundraising (30% contro il 47%). Gli operatori di private debt, invece, punteranno in particolare sulla gestione del portafoglio (79%) e sul fundraising (68%). Per di più il 43% degli operatori di private equity incrementerà la reportistica verso gli investitori includendo anche un capitolo specifico dedicato alla valutazione dell’impatto della pandemia su liquidità, financials e attese di chiusura dell’anno. I venture capitalist, invece, hanno dichiarato che le proprie target hanno registrato un maggiore effetto sulle vendite (89%), sulla raccolta di capitale (53%) e sul rapporto con i clienti e i fornitori (26%). Infine, il 63% degli operatori di private debt ritiene che il rischio di default delle aziende crescerà tra l’1 e il 10%, mentre solo il 5% crede che possa essere compreso in una forbice tra il 20 e il 40%.
Non manca poi una nota finale positiva. “Abbiamo cercato di mettere insieme il numero di investimenti annunciati nei primi sette mesi e il numero di investimenti registrati nello stesso periodo del 2019. Si parla di 175 operazioni tra venture capital e private equity, contro le 189 dello scorso anno. Questo significa che si tratta di un calo, ma non di una catastrofe. Escludendo lo stop evidente del mese di marzo, i deal continuano a esserci e il mercato continua ad avere una sua vivacità”, spiega Anna Gervasoni, direttore generale di Aifi, che conclude: “Certo non cresce, però è stabile. La cosa interessante è che mentre mediamente questi numeri erano rappresentati per il 20% da operazioni di add-on, quest’anno si parla del 40%. Sarà una delle tendenze principali del 2020”.
Fonte: elaborazione Aifi su dati Vem e Pem – Università Cattaneo
In Italia il numero dei deal è cresciuto progressivamente negli ultimi cinque anni fino a sfiorare la quota di 1.085 operazioni a fine 2019, per poi crollare del 24% nel secondo trimestre del 2020Alla fine dello scorso anno il private equity raccoglieva circa il 30% dell’intero mercato delle fusioni…