In generale, i fondi a lunga durata di capitale privato hanno l’obiettivo dichiarato di generare valore attraverso una più lunga possibilità di capitalizzare i rendimenti degli investimenti rispetto ai fondi di capitale privato tradizionali. Ma questo è solo l’aspetto più facile da comunicare, in quanto la realtà di questa tipologia di fondi è molto più articolata.
Il lungo
Tipicamente i fondi a lunga durata di capitale privato vengono utilizzati per assemblare portafogli di investimenti strategici piuttosto concentrati (tra cinque e quindici società) in società mature e di grandi dimensioni. Di norma il periodo di investimento di questi fondi è di cinque anni come nel caso dei fondi di capitale privato tradizionali, mentre il periodo di disinvestimento è di dieci anni o più, oltre a possibili clausole di estensione – portando la duration media dell’investimento anche a ben oltre il doppio di quella attesa (di cinque-sette anni) dei fondi tradizionali. Sul concetto di duration si rimanda a miei contributi precedenti, ma in generale si fa riferimento al tempo medio tra investimento e disinvestimento legato alle dinamiche dei flussi di cassa di questi fondi.
Secondo un approccio abbastanza consolidato, i fondi a lunga durata di capitale privato possono essere suddivisi in due macrocategorie: i fondi core e i fondi non-core.
I fondi core prendono la loro definizione dal modo del real estate in cui i target di investimento sono asset maturi e ad alta e stabile generazione di cassa che possano essere considerati allocazioni a lungo termine. Una conseguenza di questo stile di investimento o quindi la minore rotazione del capitale e una riduzione dell’Irr (o tasso di rendimento interno), almeno in linea di principio visto che asset di questo tipo posso usualmente sopportare una più alta leva finanziaria, e un focus sul multiplo del capitale.
I fondi non-core operano invece in maniera più opportunistica e simile a quella dei fondi tradizionali ma sfruttando finestre temporali più lunghe con un focus su Irr elevati e una più veloce rotazione degli investimenti anche con riciclo, ovvero reinvestimento, di capitale.
Il bello
La proposizione di valore dei fondi a lunga durata di capitale privato è quindi che essi consentano l’esposizione a società solide, con prospettive di crescita per un periodo più lungo di tempo, beneficiando di (e quindi capitalizzando) rendimenti attraenti attraverso più cicli economici. Avere la disponibilità di tempo consente al gestore la flessibilità necessaria per cogliere il miglior momento per valorizzare l’asset detenuto riducendo al contempo il rischio di reinvestimento.
Un altro elemento di attrattiva dei fondi a lungo termine è che possono essere percepiti dagli azionisti delle società target come degli investitori a lungo termine, con logiche diverse da quelle almeno percepite per i tradizionali veicoli di private equity. Questo fattore può, da un lato, ovviamente ampliare il bacino di opportunità di investimento per i fondi, rendendo accessibili società attraenti che altrimenti non avrebbero voluto avere partnership con investitori finanziari, dall’altro, proprio per la maggiore flessibilità operativa e di strutturazione delle operazioni propria di questi fondi, consentire termini di acquisizione delle quote su basi potenzialmente più favorevoli e spesso fuori dalle logiche di asta competitiva, che invece normalmente caratterizzano i grossi deal di private equity.
Un ultimo punto riguarda l’aspetto commissionale di questi veicoli, che in virtù della maggior durata normalmente presentano delle commissioni più basse sia per quanto riguarda la gestione che la performance, con più elevata possibilità di aggiustamenti su misura.
Il cattivo
Esiste, come ragionevolmente attendibile, una parte del mercato che riserva critiche ai fondi a lunga durata di capitale privato e richiama alla cautela.
In primo luogo, si fa riferimento a una serie di esperienze negative vissute dagli investitori in veicoli di permanent capital in tempi precedenti alla crisi del 2008. Il punto debole dei veicoli di permanent capital è nella loro tendenza a sviluppare quello che in gergo viene definito un lazy balance sheet, un patrimonio pigro. Questa situazione riflette la circostanza degli investimenti di private equity di generare cassa. I veicoli di capitale permanente sono costretti a logiche di reinvestimento “forzato” per mantenere le minori quantità di cassa in bilancio, ovvero avere il massimo del capitale investito possibile. Per evitare i lazy balance sheet esistono due soluzioni: distribuire la cassa (riducendo però il capitale a disposizione del gestore – e anche la sua base commissionale permanente) o adottare politiche di investimento aggressivo, con logiche di leva finanziaria a livello di veicolo, che possono portare a situazioni di default che si sono verificate.
In secondo luogo, si evidenzia il fatto che la veloce rotazione del capitale dei fondi di tipo tradizionale riportava non solo la cassa ma anche il “potere” di allocazione del capitale nelle mani degli investitori, creando una tensione di governance positiva tra agent e principal.
Chi vince?
Le sorti dei fondi a lunga durata di capitale privato non sono ancora chiaramente segnate anche in virtù del fatto che si tratta di un fenomeno ragionevolmente nuovo. La mia opinione è che per questi veicoli possa esserci uno spazio per un investitore adeguatamente informato la cui capacità di governo dei propri investimenti sia supportata da adeguate capacità di valutazione e di gestione del proprio rischio in corso d’opera – in fondo, nel lungo termine, potrebbe avere ragione Keynes.