Quartz, magazine online di informazione economica-finanziaria ha intervistato dirigenti, banchieri di investimento, accademici, consulenti, investitori per capire quale è il futuro del settore delle quotazioni
Con una raccolta di 150 miliardi di dollari il 2020 è stato un anno record, superando il 2000, anno in cui si era verificata la bolla delle dot.com. Cinque delle dieci ipo più grandi dell’anno passato sono avvenute in Cina
Pro e contro della quotazione
Non è tutto oro quel che luccica. Anzi: i detrattori delle ipo esistono e sono molti, anche negli Stati Uniti, il mercato dei capitali più profondo e liquido al mondo. Il motivo? Il processo è costoso e lento. Non hanno tutti i torti: un’offerta pubblica può richiedere un anno o più, durante il quale la direzione non solo si sottopone a un intenso andirivieni presso le autorità di regolamentazione per presentare il proprio prospetto, ma anche ad un estenuante road-show per il paese per incontrare gli investitori. In più le banche di investimento arrivano a mettersi in tasca circa il 7% della raccolta, e revisori dei conti e studi legali possono aspettarsi di intascare milioni di dollari in commissioni. E poi c’è il processo per decidere chi dovrebbe ottenere azioni e a quale prezzo, che molti hanno definito una vera e propria “scatola nera” costruita dalle banche di investimento a vantaggio di Wall Street e dei suoi clienti a scapito delle società. Perché quotarsi allora?
All’inseguimento di Wall Street
Al momento il mercato di riferimento per le quotazioni è il NYSE, la borsa di New York. Il suolo statunitense infatti offre ai giovani imprenditori mercati dei capitali più profondi, investitori sofisticati che capiscono le aziende tecnologiche in crescita, un ampio banco di analisti di ricerca, e aziende simili che possono essere usate come confronto per valutare la stessa società. Tuttavia le altre grandi piazze finanziarie si stanno muovendo per colmare il gap con Wall Street. La borsa di Hong Kong sta permettendo ad alcune aziende di quotarsi con azioni a doppia classe, configurazione usata da aziende come Facebook che può riconoscere ai fondatori diritti di voto e di controllo maggiori rispetto a quanto li spetterebbe. Il London Stock Exchange sta considerando di fare lo stesso, e i dirigenti e i funzionari della City stanno valutando se rendere più facile la formazione di società di acquisizione a scopo speciale. Infine in Cina le aziende per potersi quotare il mercato STAR a Shanghai e sul Growth Enterprise Market (GEM) di Shenzhen non devono più dimostrare alle autorità preposte di essere redditizie.
L’avanzata della Cina
A proposito di Cina, l’ex impero celeste sta assumendo una posizione di primo rilievo anche lato borsistico e quotazioni. Le borse di Hong Kong, Shanghai e Shenzhen si sono classificate al secondo, terzo e quinto posto in termini di proventi da ipo raccolti a livello globale l’anno scorso, secondo la società di consulenza KPMG. Cinque delle dieci ipo più grandi sono avvenute proprio su questi listini. Fino a poco tempo fa le aziende che cercavano di quotarsi sul continente oltre a dover essere redditizie non erano autorizzate ad offrire azioni ad un rapporto prezzo-utile più alto di 23. Questo costringeva le aziende a prezzare le loro azioni ad un livello artificialmente basso, con conseguente possibilità di apprezzamento del 300% al primo giorno di negoziazione. Ora Pechino sta studiando strategie sia per invogliare le aziende cinesi che sono quotate all’estero (Hong Kong) ad avere una quotazione in patria, sia per attrarre le multinazionali globali, come Tesla o Apple, e convincerle a una quotazione cinese. Tuttavia, la Cina rimane una fonte di incertezza per le aziende che sognano i mercati per via del suo imprevedibile regime normativo. Gli investitori internazionali sono rimasti scottati dalla sospensione all’ultimo minuto dell’ipo di Ant Group lo scorso novembre. (Se Ant cerca di quotarsi di nuovo, la nuova valutazione potrebbe essere di 29 miliardi di dollari grazie ai nuovi regolamenti – circa 10 volte inferiore alla valutazione prevista l’anno scorso).
La spac-mania
Dietro il successo delle quotazioni registrato lo scorso anno e confermatosi nei primi mesi del 2021, c’è in larga parte anche l’ascesa: le spac. Si tratta di veicoli di investimenti che vengono quotati con l’obiettivo di fondersi con una società-obiettivo, permettendo l’approdo sul mercato. Dal momento che gli investitori non conoscono l’obiettivo dell’investimento, di solito si convincono a mettere i soldi sulla base delle credenziali dello sponsor, professionisti che godono di primario standing nel panorama finanziario che costituiscono il management della spac. Dalla quotazione, la spac ha 24 mesi di tempo per completare la fusione. Inoltre gli investitori votano se accettare o meno la fusione e in caso contrario possono tirarsi indietro recuperando i loro soldi. Il vantaggio rispetto all’ipo diretta è che il processo di quotazione è più veloce (quasi la metà del tempo) e che la valutazione dell’obiettivo di acquisizione è decisa non dal mercato ma delle parti (spac e società obiettivo). Di contro c’è da sottolineare che gli sponsor si prendono una grossa fetta di azioni, talvolta fino al 20%. I ritmi dell’anno passato e di quest’anno è difficile che si riconfermino in futuro. Nel 2021 sono stati già raccolti 97 miliardi di dollari di ipo tramite spac, più di quanto è stato raccolto tra il 2003 e il 2019.
Differenza di genere
Infine risulta una disparità razziale di genere in tema di quotazione. Secondo i dati compilati da Business Insider Solo quattro delle 442 aziende che sono diventate pubbliche negli Stati Uniti l’anno scorso avevano fondatrici/ceo donne. Inoltre le startup guidate da donne hanno ottenuto circa il 2,3% dei finanziamenti di venture capital l’anno scorso. Numeri ancora più sfortunati per le donne nere e latine che hanno ricevuto solo 0,6% dei finanziamenti dal 2018.