Strategas Securities, società specializzata in analisi sui mercati basata a New York, ha ripercorso storicamente quali fossero i fondamentali economici e finanziari nei momenti in cui Wall Strett aveva raggiunto il suo punto più basso
Nessuno, fra gli indicatori considerati è, per così dire, così ‘messo male’ da far pensare a un bottom già raggiunto
Nel risveglio del mercato orso, ad essere andata in letargo è stata, invece, l’euforia del recente passato – quella che ogni volta, dopo ciascun ribasso, alimentava uno pronto rimbalzo. Da tempo, è evidente che il clima è cambiato. Dall’inizio dell’anno al 5 luglio l’S&P 500 ha perso oltre il 20%, e più del 7% solo nell’ultimo mese. L’azione simbolo delle speculazioni allegre del 2020-21 e punto d’acquisto privilegiato delle varie meme stock, l’app di trading Robinhood, adesso si trova in calo del 54% da inizio anno (e, paradossalmente, ha perso più capitalizzazione della stessa GameStop, il cui rosso è in linea con la media del mercato). Ancora peggio è andata all’exchange di criptovalute Coinbase: per l’azione simbolo dell’entrata delle crypto a Wall Street (al meno sotto il profilo mediatico) il valore di mercato è sceso del 77%.
La domanda che adesso tiene svegli gli analisti, però, è la seguente: è finita qui, o l’orso resterà rimarrà per diverso tempo, con ulteriori ribassi? Le chiavi interpretative per provare a rispondere possono essere molteplici. Strategas Securities, società specializzata in analisi sui mercati basata a New York, ha ripercorso storicamente quali fossero i fondamentali economici e finanziari nei momenti in cui Wall Strett aveva raggiunto il suo punto più basso (bottom) in seguito a una una fase ribassista. La cattiva notizia è che nessuno, fra gli indicatori considerati è, per così dire, così ‘messo male’ da far pensare a un bottom già raggiunto: “Dopo aver esaminato i dati, sarebbe difficile affermare con sicurezza che abbiamo ancora raggiunto il fondo del mercato orso”, hanno scritto gli analisti di Strategas.
Questo elemento, ad esempio, suggerisce che il timore delle insolvenze societarie, tipiche delle fasi di correzione severa non ha ancora raggiunto livelli tali da far pensare all’inizio di un’inversione di tendenza. Il tasso di disoccupazione Usa, poi, con il suo 3,6% e molto più bassa rispetto al 5,8% concomitante alla media dei precedenti bottom.
In sintesi, i rischi di recessione oggi non si sono ancora trasmessi nei dati macroeconomici né nelle previsioni ufficiali (nel 2023 e nel 2024 la Fed stima una crescita del Pil dell’1,7 e dell’1,9%).
Per quanto riguarda il principale indicatore sulle valutazioni, il P/E ratio medio raggiunto nel punto più basso di giugno, vedeva il prezzo delle azioni dell’S&P 500 a quota 18 in raporto agli utili. Se questo fosse davvero il bottom, si tratterebbe del fondo caratterizzato dalle azioni “più costose” mai visto dagli anni Sessanta ad oggi.
L’esperienza passata indica che il bottom è arrivato su valutazioni più contenute, in termini di rapporto fra prezzi azionari e utili societari (P/E ratio) e in condizioni macroeconomiche più avverse: con tassi di disoccupazione superiori e inflazione più bassa (infatti, di norma, quando l’economia rallenta la disoccupazione sale l’inflazione scende). Una coppia di grafici realizzati da Bloomberg aiutano a riassumere la posizione “pessimista” espressa da Strategas. Ad esempio, il differenziale fra i bond “spazzatura” (high yield) e i titoli governativi “sicuri” è nettamente più basso oggi, rispetto alla media dei precedenti bottom di mercato, a 569 punti base contro 1.269.
Proprio perché restano ancora da vedere i dati materiali sulla recessione, non è ancora avvenuta una decisa revisione delle prospettive degli utili aziendali. Quest’ultima, se si verificasse, potrebbe segnare una nuova ondata di vendite sui mercati.