Era dal 2008 che non si aveva un simile picco delle quotazioni nel comparto dei tecnologici di Cina. Al calo tendenziale degli ultimi 14 anni, si era poi aggiunto il vero e proprio tracollo dell’ultimo anno e mezzo. Data simbolica è il 5/11/2020, quella del congelamento della quotazione di Ant Group (affiliata Alibaba) sui listini di Hong Kong e Shanghai, mossa costata al fondatore del gruppo, Jack Ma, 37 miliardi di dollari (valore stimato della raccolta).
Così, complici anche i venti (e le fiamme) di guerra, il presidente dell’ex Celeste Impero e il suo entourage devono aver cambiato idea, o per lo meno atteggiamento: hanno dichiarato di voler “assicurare stabilità” agli investitori per il tramite di Liu He, plenipotenziario di Xi per quanto riguarda economia e finanza.
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È un fatto che, da ottobre 2020, Alibaba ha perso più del 75% della sua capitalizzazione a causa della caduta di Jack Ma dalle grazie del governo nazionale. Ora la Cina promette di allentare la repressione normativa sulle tech corporation e di supportare i titoli immobiliari e tecnologici. La grave repressione del biennio passato dovrebbe essere solo un ricordo. Se fosse vero, si tratterebbe di un vero e proprio game-changer per il mercato azionario del Paese di Mezzo. Tuttavia gli analisti vedono ancora molti rischi nel panorama.
Gli Stati Uniti per dire mantengono una linea dura sulle quotazioni cinesi a Wall Street, insistendo sul fatto che le società quotate negli Usa dovrebbero fornire accesso completo agli audit. Viceversa, la minaccia è quella di essere cancellate dalla quotazione alla New York Stock Exchange.
Intanto, Alibaba ha guadagnato quasi il 37%, JD.com è balzato vicino al 40% e Didi, l’Uber cinese, ha guadagnato più del 41%. Saranno i prossimi giorni a dire se si tratta di una bizza della volatilità dei mercati oppure di una inversione di trend.