Si torna a parlare della tassa sui superricchi, perché negli Usa è stata appena pubblicata una proposta della senatrice Dem Elisabeth Warren, che colpisce i patrimoni dai 25 milioni in su – in parte simile a quanto di recente ipotizzato anche in Italia
La patrimoniale andrebbe a sostituire le molte imposte sulla ricchezza che oggi colpiscono chi possiede immobili o beni mobili e che garantiscono un gettito di 36 miliardi l’anno. Circa il doppio di quello che si otterrebbe limitandola solo alla fascia più ricca della popolazione
Forse, rispetto alla situazione attuale, una tassa unica, chiara e precisa e realmente discriminante tra piccoli e grandi patrimoni sarebbe preferibile. Con tutte le contestazioni del caso: si tratta di una manovra recessiva, che avrebbe, oggi, un effetto ulteriormente negativo sull’economia già indebolita dalle batoste del Covid. Ne abbiamo parlato con Mara Palacino, partner dello studio di consulenza legale e tributaria Pirola Pennuto Zei & Associati.
Da una sponda all’altra dell’Atlantico
È un tema che torna alla ribalta in questi giorni in cui dall’altro lato dell’Oceano si discute del tax act riservato agli ultra-milionari Usa e proposto dalla senatrice Dem Elisabeth Warren. L’impianto è in parte simile all’emendamento che a dicembre era stato presentato da Pd-Leu per introdurre la patrimoniale in legge di bilancio. In particolare, la proposta di modifica chiedeva l’abolizione dell’Imu e dell’imposta di bollo sui conti correnti e di deposito titoli, per sostituirle con un’aliquota progressiva minima dello 0,2% e fino al 2% sui grandi patrimoni. Per grandi patrimoni, si intendono quelli che partono dai 500mila euro di ricchezza netta; l’aliquota massima si sarebbe applicata, come in Usa sui patrimoni oltre i 50 milioni di euro. Per il 2021, era stato proposto un contributo di solidarietà, pari al 3% sui patrimoni superiori al miliardo di euro
La proposta italiana (per ora bocciata)
“Gli emendamenti sono stati prima bocciati, poi ripresentati – dice Palacino – ma osservazioni e commenti sono stati sollevati non nel merito ma soprattutto perché c’era scarsa precisione in merito alla base imponibile. Non era chiaro nel lettering dell’emendamento quale parametro si dovesse tenere presente, per esempio sugli immobili, il valore catastale o di mercato, tanto per fare l’esempio più banale. O ancora, quale profilo si andava a colpire? La volontà era tassare la ricchezza mobiliare, o piuttosto gli investimenti di ogni genere – inclusi i beni artistici – o le partecipazioni di minoranza in aziende? Insomma, gli emendamenti sono saltati perché di fatto non c’era alcuna certezza su come calcolare la base imponibile per applicare l’aliquota”.
… ma una riforma fiscale è necessaria
Ciò detto, l’Italia ha un estremo bisogno di varare la sua riforma fiscale e in questo contesto la patrimoniale potrebbe tornare in auge. “Non so se questo possa essere il periodo appropriato perché siamo in una situazione in cui ci sono soldi da gestire che arrivano dall’Europa, piuttosto che materia imponibile da ricercare”.
Una riforma che porterebbe a uniformare e riorganizzare le n piccole patrimoniali ad hoc su beni specifici che di fatto già esistono. “La stessa Confindustria nell’audizione al Senato ha espresso l’esigenza di fare ordine: le imposte sono state emanate nel tempo in modo disorganico, con una serie di norme poi aggiornate e modificate – continua Palacino – l’esigenza di semplificare poi si scontra anche con il gettito”. Dalle 17 imposte patrimoniali contate da Confindustria è derivato nel 2019 un gettito di 36 miliardi di euro. Da Imu e imposta di bollo 26 miliardi. Una patrimoniale secca come quella immaginata dall’emendamento di cui sopra – e che avrebbe sostituito appunto Imu e imposta di bollo – sarebbe potuto arrivare un gettito di 19 miliardi. Qualcosa che evidentemente non ci si può permettere.
Una contribuzione più equa
Ma c’è un altro tema che spinge a favore della patrimoniale secca versus le n piccole patrimoniali. Il tema di una più equa contribuzione in base alla ricchezza. Oggi l’Imu sulle seconde case e l’imposta di bollo non fissano alcuna soglia minima: dunque non tengono conto del valore dell’immobile o della liquidità sui conti correnti, ma si applicano per il semplice fatto di possedere un immobile o un conto corrente. Rischiando di diventare effettivamente inique. “tuttavia – conclude Palacino – mentre fare una distinzione tra ricchezze mobiliari e immobiliari non sarebbe perequativo, adottare il criterio della progressività in base al patrimonio complessivo è una strada che sicuramente va verso una maggiore equità. Allora si può pensare, per esempio, di tenere l’Imu sugli immobili e introdurre qualcosa che vada a colpire ulteriormente gli investimenti finanziari. Ma il criterio della liquidità non dovrebbe essere quello che guida la scelta dell’introduzione dell’imposta patrimoniale, perché il rischio è che si vada a colpire il reddito da lavoro o le quote di aziende”.