“Cosa farà ora, Governatore?”. “Chiedetelo a mia moglie: vi saprà rispondere meglio di me”
“Ora, in Italia, hanno tutti ben chiaro che l’euro è irreversibile. La popolarità della moneta unica non è mai stata così alta”
“Come mi sento? Come qualcuno che ha cercato di portare a termine nel miglior modo possibile il proprio mandato”
“La comunicazione è diventata un tool di politica monetaria”
Politica monetaria accomodante, a lungo
Sul fronte della politica monetaria, Draghi ha confermato quando annunciato lo scorso 12 settembre: taglio dei tassi di deposito di 10 punti base (-0,50%) ed introduzione di un sistema a due livelli sulle riserve bancarie non obbligatorie, volto a sgravare gli istituti del credito europei dal costo del denaro negativo; ripresa del piano di acquisti di titoli di Stato (quantitative easing) da 20 miliardi di euro al mese a partire dal 1° novembre 2019 (senza limiti temporali) ed allungamento della durata delle aste di liquidità alle banche Tltro da 2 a 3 anni; infine, il cambio della forward guidance (che fornisce indicazioni sulle future mosse dell’istituto centrale), non più legata al “quando” sarà toccato il target di inflazione (inferiore, ma prossimo al 2%), ma al “come” tale obiettivo verrà raggiunto.
Sulla linea di quanto già spiegato nel meeting precedente, ha puntualizzato il Governatore, la decisione è stata presa a maggioranza dal Consiglio direttivo, che ha approvato all’unanimità la scelta di rinvestire le poste dei titoli in scadenza.
Il cruccio crescita reale e la revisione delle stime
Ancora una volta, il nodo centrale resta la mancata traduzione a livello reale delle misure di stimolo varate dall’istituto di Francoforte, cui dovranno necessariamente (e avrebbero dovuto già in precedenza) affiancarsi misure di politica fiscale da parte dei singoli Stati.
In un contesto debole, minacciato da rischi geopolitici, protezionismo e debolezza delle economie emergenti, il Governatore non scorge particolari segnali di bolle economiche, seppure si ravvedano potenziali incognite legate ai singoli Stati, specie quelli più indebitati (Italia in primis).
Tra le certezze di una situazione economica che non sembra riuscire a reagire a nessuna leva di stimolo, l’ultimo pacchetto di misure a firma Draghi non si inquadra come una soluzione al problema, ma come un segnale al mercato, che dovrà rimboccarsi le maniche.
L’eredità di Mario Draghi a Christine Lagarde
Dopo i dissapori dello scorso mese da parte dei rappresentanti di Francia e Germania, contrari all’attivazione di un nuovo bazooka di liquidità, la palla passa a Christine Lagarde, che erediterà una politica da colomba, in un ambiente in cui i falchi iniziano a farsi largo. Proprio con riguardo a quest’ultima, Draghi ha ribadito come la preparazione dell’ex presidente del Fondo Monetario Internazionale faccia di lei la migliore dei candidati che potessero esser scelti.
Note di colore da Francoforte
Non sono infine mancate le note di colore. Alla domanda su quali piani avesse Draghi per il futuro “chiedetelo a mia moglie” è stata la risposta di tutto punto. Relativamente a come si senta nei panni di Governatore uscente “mi sento come uno che ha cercato di portare a termine nel miglior modo possibile il proprio mandato” ha risposto. Riguardo all’Italia “ora tutti hanno ben chiaro che l’euro è irreversibile” ha ribadito piccato. “La popolarità della moneta unica non è mai stata così alta”.
Infine, facendo riferimento a quell’euro “calabrone” citato nello storico speech del luglio 2012 che nessuno pensava potesse prendere il volo, “non sono un biologo” ha chiosato.
Whatever it takes, simbolo di una nuova era
“Within our mandate, the Ecb is ready to do whatever it takes to preserve the euro”, furono le parole scelte da Draghi nel pieno della crisi del debito sovrano. “And believe me” aggiunse all’epoca “it will be enough”.
Le condizioni di mercato mutano e l’economia risponde a fattori che spesso prescindono dalle decisioni di politica monetaria. Se c’è una cosa che Draghi ha di certo cambiato per sempre, però, è l’importanza del selezionare le parole giuste al momento opportuno.
La cosa più difficile in una Unione monetaria composta da 19 Stati membri differenti per lingua e tradizioni, è riuscire a parlare in modo che tutti comprendano. “La comunicazione” ha concluso “è diventata un tool di politica monetaria”. E in questo, il Whatever it takes ha segnato l’inizio di una nuova era.