In una prima fase, successiva all’invasione russa dell’Ucraina, i titoli di Stato si sono rivelati un buon riparo dai ribassi azionari. Il vento, però, è cambiato in fretta
Come si sono comportati i bond in questa crisi e come andrebbe riformulata la loro presenza in portafoglio? L’abbiamo chiesto al co-fondatore di Consultique Scf, Luca Mainò
L’aumento dell’inflazione incorporato nelle aspettative degli investitori, dopo l’impatto della guerra in Ucraina e le sanzioni sulla Russia, hanno provocato un brusco aumento dei rendimenti dei bond – che, come sempre, si accompagna a un calo del valore dei titoli.
Ancora una volta uno scenario di crisi ha riportato al centro del dibattito quale sia l’effettiva capacità dell’asset class obbligazionaria di proteggere il portafoglio. Nel contesto attuale, la sua attrattiva sembra esser sfumata in fretta, visto che si sta via via rafforzando l’idea che i negoziati in corso fra Russia e Ucraina rendano più probabile un accordo, che non un’escalation fuori dai confini dell’attuale conflitto (con conseguenze che, allora, sarebbero potenzialmente catastrofiche).
A dimostrazione del sentiment dei mercati è importante notare come i rendimenti del Treasury Usa decennale siano passati dall’1,94% del 22 febbraio (pre-invasione) al 2,50% del 29 marzo, con un minimo a 1,72% toccato il primo marzo a pochi giorni dall’avvio della campagna militare russa. Le azioni hanno seguito un percorso inverso e, dopo un iniziale crollo, il 29 marzo si trovano su livelli superiori rispetto a quelli pre-invasione. In particolare l’S&P 500 ha chiuso lunedì 28 marzo, sui massimi dal 10 febbraio; l’Euro Stoxx 600, pur con minore slancio, ha ampiamente recuperato lo choc seguito allo scoppio del conflitto su tutto il territorio ucraino.
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Come si sono comportati i bond in questa crisi e come andrebbe riformulata la loro presenza in portafoglio? L’abbiamo chiesto al co-fondatore di Consultique Scf, Luca Mainò.
“L’invasione russa dell’Ucraina si è concretizzata in un particolare momento dell’economia globale, in concomitanza con valori di tassi di inflazione nelle principali economie tra i più elevati negli ultimi trent’anni”, ha esordito il consulente finanziario autonomo. “Prima dell’invasione la lettura dei mercati finanziari circa l’atteggiamento delle principali banche centrali era di un rapido intervento, volto a contrastare l’accelerazione dei prezzi”, ha detto Mainò, “tale lettura è mutata in seguito alla guerra, a causa del maggiore clima di incertezza e la componente obbligazionaria governativa ha protetto dalla discesa che invece si è osservata sui comparti azionari”.
Come osservato in precedenza, però, questa fase sembra essere rientrata piuttosto in fretta. “Questa dinamica di mercato è stata, tuttavia, solo temporanea in quanto l’evoluzione del conflitto ha esacerbato la crescita dei prezzi delle materie prime energetiche e agricole, impattando ulteriormente sui tassi di inflazione”, ha aggiunto il co-fondatore di Consultique, “livelli di inflazione così elevati possono infatti ridurre la capacità di diversificazione tra azionario e obbligazionario, influendo negativamente sia sulle obbligazioni, specialmente se a lunga scadenza, sia sulle azioni, se di società con business ancora non maturi”.
Infatti, un’inflazione più elevata per molto tempo tende a erodere i ritorni reali dei bond con particolare impatto per quelli a lunga scadenza i cui rendimenti erano stati offerti in una fase nella quale le attese sui prezzi erano decisamente più basse. Per quanto riguarda le azioni, l’inflazione e i rialzi dei tassi tendono, solitamente, a favorire le azioni “value”, che operano in business tradizionali e che riescono più facilmente ad adeguare i prezzi e moderare l’effetto dell’inflazione sul proprio bilancio (a spese dei consumatori, che pagano di più per i loro servizi o prodotti).
L’intervento sull’obbligazionario dopo la crisi
“Per difendere il portafoglio” Consultique non ha proceduto “ribilanciando tra le macro categorie azionaria e obbligazionaria, bensì operando internamente alle stesse, agendo sulle caratteristiche specifiche delle esposizioni”, ha proseguito Mainò.
“Sulla componente obbligazionaria, in particolare, ci si è posti l’obiettivo di esporsi su duration corte”, ovvero quelle caratterizzate da minor rischio, “sia sulla componente governativa che sulla componente corporate investment grade. Coerentemente l’aggiustamento della componente obbligazionaria ha ridotto la componente più correlata all’azionario “come è nello specifico la componente high yield”, il segmento caratterizzato da rating bassi e rischi elevati.