Capitol Hill, Market Digital Act, sospensione dell’ipo di Ant Group sono legati da un unico filo conduttore. Stati Uniti, Europa e Cina sembrano essersi decisi a frenare lo strapotere di questi monopoli
Secondo Andrea Nascé, direttore financial advisory di Ersel Sim, le ragioni sono tre: opportunismo fiscale, violazione delle norme antitrust, e gestione dei dati sensibili. Le vie per farlo: multe, spacchettamento in più società e nazionalizzazione
“A fronte di tutta questa incertezza sui colossi tech una strategia di portafoglio unicamente improntata al growth e volta a replicare il benchmark non è più adatta” spiega l’analista di Ersel Sim. Alibaba in due mesi ha perso il 28%
Le tre ragioni del Market Digital Act
Multe fino al 10% dei ricavi; in caso di reiterazione spacchettamento delle società. È quanto prevede il Market Digital Act, progetto di legge presentato lo scorso dicembre con cui l’Europa, seppure l’iter di approvazione non sia immediato, ha preso una posizione formale contro le grandi società tech. Secondo Andrea Nascè, direttore financial advisory di Ersel Sim, i temi che generano inquietudine in tutto il mondo e particolarmente in Europa sono tre: opportunismo fiscale, violazione delle norme antitrust, e gestione dei dati sensibili. “In un contesto di forti asimmetrie fiscali, quale l’Unione Europea, i singoli stati hanno difficoltà ad attrare all’interno della propria base imponibile il volume d’affari sviluppato dai grandi monopoli” afferma Nascè, che spiega che quello fiscale è un tema centrale ma non esclusivo per le autorità europee, che dovranno fare di più rispetto al passato se vogliono limitarne lo strapotere di queste società. “Già in passato l’Europa aveva multato Alphabet per circa 8 miliardi di euro, di fatto non sortendo alcun effetto” ricorda Nascè che sottolinea: “Sono società che da una parte possono sopportare il 10% di free cash flow sul fatturato e che dall’altra hanno stuoli di avvocati pronti a dare battaglia”
Democratici e big tech: odio o amore?
Attraversando l’Atlantico in direzione della “patria del libero mercato” la situazione non è molto diversa: le preoccupazioni e i rimedi ipotizzati sono i medesimi. Con l’aggravante che con i fatti di Capitol Hill, negli Stati Uniti la vicenda ha assunto anche una valenza sociale e politica. L’imminente insediamento di Biden alla Casa Bianca apre un grande interrogativo per le società tech. “Da una parte il 6 novembre la Camera bassa del Congresso, già allora a maggioranza democratica, ha presentato un’indagine approfondita sul comportamento anticoncorrenziale di quattro colossi americani (amazon, apple, facebook e google). Inoltre l’ala più a sinistra del partito democratico ha più volte invocato lo spacchettamento” spiega Nascè che però sostiene che quest’ultima sia un’opzione residuale, a cui verrà probabilmente preferito un rafforzamento dei meccanismi di sorveglianza. Almeno è quello che si deduce guardando alle nomine della nuova amministrazione. “Il transition team, che si occuperà della fase iniziale del nuovo governo, fatto di esperti che vengono in alcuni casi direttamente dalle società incriminate. La stessa Kamala Harris, quando era attorney general della California, non si è opposta all’acquisizione di Whatsapp da parte di Fecebook”
La tecnologia in Cina è affare di Stato
Dalla sospensione della ipo di Ant Group, passando dalla sparizione di Jack Ma, fino ad arrivare all’ipotesi paventata oggi dal Financial Times di una possibile nazionalizzazione di Alibaba, quello delle big tech è un tema che ha tenuto banco anche in Cina. Più sui tavoli di governo che sulle testate giornalistiche. In Cina infatti generalmente alle parole – che non hanno molta libertà di circolare – prevalgono i fatti. “Soprattutto in materia tecnologica, tema al centro sia della guerra commerciale con gli Stati Uniti negli ultimi due anni sia del nuovo piano quinquennale che è stato appena varato ad ottobre” commenta Nascè il quale spiega che la Cina è orientata non più a una crescita fine a sé stessa ma, ad una crescita qualitativa da leader internazionale nell’innovazione tecnologica. In questo contesto i monopoli, come quello di Alibaba, che sfuggono al controllo del regime, potrebbe creare dei problemi. Già a dicembre, per evitare nuovi casi, sono state introdotte regole sul livello di concentrazione in determinate industrie. “Si tratta di una disposizione governativa che fornisce linee guida da seguire in tema di controllo delle piattaforme internet, siti e-commerce, delivery, servizi online: una società non può possedere una quota di mercato superiore al 50%”.
Mid-Cap meglio di large-cap e la selezione è d’obbligo
Le implicazioni per i mercati sono diverse e lo si capisce già solo guardando al tonfo di Alibaba, che ha perso in poco più di due mesi più del 28%. In prima battuta è chiaro che, secondo Nascè, non si può continuare ad investire come negli ultimi anni. “A fronte di tutta questa incertezza circa i colossi tech una strategia di portafoglio unicamente improntata al growth e volta a replicare il benchmark non è più adatta” spiega l’analista di Ersel Sim. Un portafoglio premiante potrebbe essere impostato su titoli a capitalizzazione intermedia con una attenzione alla selezione di temi che hanno motivi di crescita indipendenti a queste evoluzioni. “Bisogna investire, selettivamente, sui temi secolari come il cloud computing, o lo IoT, la cui imprescindibilità nel mondo di domani non verrà intaccata da eventuali nuovi corpi normativi” conclude Nascè.