Strega o fata? Cos'è il Mes, a cosa serve, perché spaventa

Teresa Scarale
Teresa Scarale
25.3.2020
Tempo di lettura: 5'
A cosa serve il Mes, la sigla che ricorre sempre più nelle cronache europee dell'emergenza coronavirus. Ecco i motivi della sua duplice natura e i motivi del malumore che suscita

L'attivazione del Meccanismo europeo di stabilità è facoltativa. Essa dipende non solo dalla condizione di crisi economica “dovuta a shock esterno” in cui versa lo Stato, ma anche dalla sua volontà di aderire alle severe condizioni richieste per l'erogazione del prestito

La “lateralità” del Mes - non è incluso nei trattati istitutivi Ue - e allo stesso tempo la sua necessità in tempo di crisi lo rendono una figura ambigua nell'arco istituzionale europeo

Dopo una lunga negoziazione, si è giunti a due importanti (progetti di) riforme. Una riguarda le banche. L'altra, riguarda proprio il finanziamento degli stati in forte fabbisogno, come l'Italia durante l'emergenza coronavirus

A cosa serve il Mes


Il Meccanismo europeo di stabilità (Mes, o EsmEuropean stability mechanism) è uno strumento, articolato come un fondo, la cui funzione è quella di mantenere la stabilità finanziaria dei paesi appartenenti all'eurozona in caso di crisi.
Chiamato per questo anche “Fondo salva – stati”, il Mes presta denaro allo Stato che ne faccia richiesta, a determinate condizioni. È operativo dal 2012 ed è strutturato come un'organizzazione internazionale a carattere regionale. Ha sede in Lussemburgo e il suo presidente è l'economista tedesco Klaus Regling. Il Mes può contare su un capitale complessivo di 700 miliardi di euro, di cui gli Stati membri hanno versato effettivamente solo 80 miliardi. L'Italia è il terzo contributore netto del fondo con il 18%, dopo Germania (27%) e Francia (20%). Ecco la distribuzione delle quote:
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L'attivazione del Meccanismo europeo di stabilità è facoltativa. Essa dipende non solo dalla condizione di crisi economica “dovuta a shock esterno” in cui versa lo Stato, ma anche dalla sua volontà di aderire alle severe condizioni richieste per l'erogazione del prestito. Tali clausole prevedono che il paese si impegni a contenere il deficit e che metta in campo riforme strutturali.

Chi riceve i prestiti si obbliga infatti ad approvare un memorandum d'intesa (MoU) che definisce nei dettagli le misure che lo stato stesso si impegna a prendere. Il Mes decide con una “super maggioranza” dei voti dei paesi membri, operando in stretto coordinamento con la Commissione europea. A quest'ultima spetta, per esempio, la negoziazione con il paese in questione sul memorandum e con la Bce. Nel salvataggio può essere coinvolto anche il Fondo monetario internazionale.

Perché il Mes, non bastava l'Ue?


Il salvataggio di un paese per indebitamento era sempre stato tabù per l'Unione europea, almeno fino al biennio 2010-2011. Fino ad allora, era stata in vigore la sola regola dei Trattati (art.123): non si salvano gli spendaccioni. Poi, la crisi dei mutui (2008) ha messo in discussione parecchie certezze. Nel duro biennio 2010-2011, i leader europei iniziano quindi a valutare un meccanismo di salvataggio per i paesi dell'eurozona, alcuni dei quali erano sull'orlo del tracollo finanziario. Ecco a cosa serve il Mes. Come aggirare la legge europea? Dapprima con la costituzione di un fondo temporaneo, l'Efsf. Poi, con quella di uno permanente, il Mes appunto. Dell'Efsf beneficiano Irlanda, Portogallo e Grecia (175 miliardi di euro in prestiti); del Mes, Cipro (6,3 miliardi), Grecia (61,9 miliardi) e Spagna (41,3 miliardi). Le regole costitutive del Mes sono affiancate ai Trattati Ue, ma non vi sono incluse (non potrebbero, dicono cose opposte).

Il Mes e la sua riforma: nord contro sud


La “lateralità” del Mes (come visto non è incluso nei trattati istitutivi Ue) e allo stesso tempo la sua necessità in tempo di crisi lo rendono una figura ambigua nell'arco istituzionale europeo. Di qui l'urgenza di una riforma che ne chiarisca il ruolo. Ed è proprio sul terreno della riforma del Fondo salva-stati che si gioca lo scontro tutto europeo fra “fronte del nord” (Germania, Olanda, Finlandia, ecc.) e “fronte del sud” (Italia, Spagna, Francia, Portogallo, Grecia, ecc.). I nordici vogliono regole dure, a differenza degli altri.

Dopo una lunga negoziazione, si è giunti a due importanti (progetti di) riforme. Una riguarda le banche, con la creazione di un fondo di salvataggio comune detto Fondo di risoluzione comune delle banche. L'altra, riguarda proprio il finanziamento degli stati in forte fabbisogno, come l'Italia durante l'emergenza sanitaria del coronavirus. La proposta più severa (tedesca) vorrebbe una ristrutturazione “automatica” del debito pubblico del paese. Ossia, una riduzione del valore dei suoi titoli del debito sovrano (haircut) in modo da premiare chi investe in quei titoli con tassi di interesse più elevati (titoli di stato di qualità inferiore devono pagare interessi più alti per attrarre gli investitori). Questa proposta di riforma si è attenuata nel corso delle negoziazioni.

Nell'ultimo testo del Trattato sul Mes infatti si prevede che il primo passo sia quello dell'analisi della sostenibilità del debito del paese richiedente, ovvero della sua capacità di ripagarlo. A condurre l'analisi, sarebbe anche la Commissione europea. Solo in caso di esito negativo si passerebbe al taglio del valore dei titoli del debito pubblico di quello stato.

Per molti, quello che dovrebbe essere il segno della solidarietà europea ha un retrogusto troppo amaro, per essere benefico. L'alternativa però sarebbe la speculazione dei mercati. Ma in un contesto come quello attuale, in cui il Patto di stabilità è stato già sospeso, non avrebbe senso mantenere le clausole più dure del Mes. Ed è anche per questo che nove paesi europei (fra cui Italia, Francia, Spagna Portogallo, Belgio, Grecia) hanno firmato una lettera congiunta in cui si chiede di derogarvi. Sarebbe un'ottima occasione per mostrare all'opinione pubblica a cosa serve il Mes.
Caporedattore Pleasure Asset. Giornalista professionista, garganica, è laureata in Discipline Economiche e Sociali presso l'Università Bocconi di Milano. Scrive di finanza, economia, mercati dell'arte e del lusso. In We Wealth dalla sua fondazione

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