A contribuire maggiormente alla produzione aggregata italiana risultano settori quali le costruzioni, il commercio all’ingrosso e al dettaglio, i trasporti e il magazzinaggio
Molte imprese hanno operato al di sotto della soglia del 60% durante il lockdown
La Lombardia contribuisce al 20% della produzione italiana
A contribuire maggiormente alla produzione, sia in via diretta che indiretta, risultano in particolare le costruzioni, il commercio all’ingrosso e al dettaglio, i trasporti e il magazzinaggio. Al contrario, i servizi di alloggio e ristorazione “contribuiscono solo per il 3%, anche considerando gli effetti indiretti”. Nel manifatturiero, invece, escludendo il comparto agro-alimentare, i contributi maggiori derivano dalla produzione dei veicoli, dalla siderurgia e dal settore chimico. E quella che viene definita “percentuale di riattivazione” è particolarmente alta nel settore delle costruzioni (circa il 90%) e cala al 60% nel commercio e nei trasporti, nell’agro-alimentare, nella produzione di macchinari e veicoli, e nella riparazione di macchinari.
La Lombardia contribuisce al 20% della produzione italiana
Se poi si considera la divisione regionale, la situazione risulta essere ulteriormente esacerbata. Solo la Lombardia, una delle regioni più colpite dallo shock pandemico, contribuisce al 20% della produzione totale italiana. Insieme a Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna si tocca il 51%. Sul fronte opposto si posizionano le regioni dell’Italia Centrale, insieme a Basilicata e Calabria, che fornirebbero uno scarso contributo all’attività economica. Se si considera che l’esplosione iniziale del virus ha riguardato prevalentemente le regioni del settentrione, buona parte del sistema produttivo italiano risulta intaccato. “È necessario quindi fare tutto il possibile per contrastare l’epidemia e mettere in sicurezza i lavoratori per poter riaprire le regioni chiave per evitare ulteriori cadute dell’attività economica italiana”, continuano i ricercatori.
L’export supera quota 560 miliardi
Conclusione che ben si sposa anche con i risultati relativi all’export, che nell’ultimo anno ha superato la quota di 560 miliardi pari al 31,6% del prodotto interno lordo italiano. Gli studiosi si sono focalizzati in particolare sul mercato tedesco e quello statunitense e hanno evidenziato come, anche in questo caso, la domanda della Germania coinvolge soprattutto le regioni del settentrione e alcune località dell’Italia centrale, e lo stesso vale per gli Stati Uniti che si rivolgono principalmente a Toscana, Emilia-Romagna e Piemonte. La domanda estera che proviene da questi due paesi, spiegano, contribuisce a circa il 5% della produzione italiana. Volendo riattivare e mantenere costante livello e composizione dell’export verso i nostri principali partner commerciali bisognerebbe dunque coinvolgere un numero di operai italiani complessivo pari a 140mila unità (65mila per la Germania e 75mila per gli Stati Uniti), meno dell’1% dell’occupazione totale.
In definitiva per salvaguardare l’attività economica, nella prospettiva di un secondo lockdown, quasi tutti i settori dovrebbero poter operare a un regime superiore al 50% ed è necessario che le regioni più attive siano quelle del settentrione, anche se – precisano i ricercatori – “queste conclusioni, oltre a non considerare il rischio di esposizione al virus dei lavoratori dipendenti, non tengono conto dei bisogni delle famiglie in termini di beni e servizi finali, o la domanda proveniente da mercati specifici”.