“Crediamo che, nonostante le indiscrezioni su un possibile rialzo dei tassi di interesse di un punto percentuale, i banchieri centrali del Fomc possano propendere per un aumento del costo del denaro di 75 punti base, portando il nuovo range dei federal funds rates da 1,50%-1,75% a 2,25%-2,50%”, ha dichiarato a We Wealth il senior strategist di IG, Filippo Diodovich.
“In questo momento il mercato sta scontando un rialzo dei tassi fino a metà 2023, e a partire da settembre, il consenso inizia a valutare un cambiamento nella politica monetaria”, ha dichiarato a We Wealth Javier Molina, senior market analyst di eToro
L’inflazione continua ad ad accelerare negli Stati Uniti, ma il timore della recessione potrebbe presto incoraggiare la Federal Reserve a ricalibrare la rotta dei rialzi dei tassi. Ma questo non avverrà nella riunione del 26-27 luglio, che probabilmente deciderà un nuovo rialzo da 75 punti base, se non di un intero punto. A incoraggiare quest’ultima mossa potrebbe essere l’inflazione osservata a giugno, salita al 9,1% annuo con un confronto mensile su maggio in ulteriore accelerazione (+1,3%). Inoltre, il mercato del lavoro americano ha aggiunto altre 372mila occupati il mese scorso, mentre sono aumentati ulteriormente i livelli salariali. La maggioranza degli analisti, però, ritiene più probabile un nuovo aumento da 75 punti base.
“Crediamo che, nonostante le indiscrezioni su un possibile rialzo dei tassi di interesse di un punto percentuale, i banchieri centrali del Fomc possano propendere per un aumento del costo del denaro di 75 punti base, portando il nuovo range dei federal funds rates da 1,50%-1,75% a 2,25%-2,50%”, ha dichiarato a We Wealth il senior strategist di IG, Filippo Diodovich.
“Le dichiarazioni dei membri più falchi all’interno della commissione operativa (Bullard e Waller) hanno, infatti, messo sul tavolo anche un possibile rialzo di un punto percentuale per contenere le crescenti pressioni inflazionistiche. Riteniamo, tuttavia, che i banchieri centrali del Fomc voteranno per un rialzo di 75 pb per non pesare troppo sull’economia americana”. Due settimane fa la Bank of Canada, ha mostrato ai mercati un rialzo da 100 punti base, rendendo evidente come si tratti di una mossa tutt’altro che impossibile. Secondo Diodovich, tuttavia, a deporre a favore di un rialzo da 75 punti base sarebbe “anche il lieve calo delle aspettative di inflazione di medio termine” condotta dalla Federal Reserve Bank of New York, dalla quale è emerso come l’inflazione attesa a tre anni dai consumatori si sia ridotta dal 3,9 al 3,6%
Le banche centrali, compresa la Bce, in questo momento stanno accelerando il passo dei rialzi nel tentativo di riacciuffare il più in fretta possibile un’impostazione neutrale per adottarne, in seguito, una restrittiva (che tende a rallentare l’economia, ma anche l’aumento dei prezzi). E’ il cosiddetto “front-loading”, ossia procedere tramite rialzi più consistenti all’inizio della stretta, per poi ammorbidire il ritmo.
La gran parte dell’attenzione sulla conferenza del presidente Jerome Powell si concentrerà sull’eventuale moderazione della retorica anti-inflazione, fatto che aprirebbe a un possibile rallentamento nella traiettoria dei rialzi. “Crediamo inoltre che Powell non darà molte indicazioni sulle future mosse di politica monetaria per le prossime riunioni, tenendo l’approccio dipendente dai dati in arrivo”, ha affermato Diodovich.
Le attese sui prossimi passi della Fed
“In questo momento il mercato sta scontando un rialzo dei tassi fino a metà 2023, e a partire da settembre, il consenso inizia a valutare un cambiamento nella politica monetaria”, ha dichiarato a We Wealth Javier Molina, senior market analyst di eToro, “se le condizioni economiche come l’edilizia abitativa, i dati Pmi i profitti aziendali e, per ultimo l’occupazione peggiorano, potremmo assistere a un processo più contenuto di aumento dei tassi. In altre parole, trovarsi di fronte a un picco/calo dell’inflazione e all’entrata in recessione, accelererebbe la fine dei rialzi dei tassi”.
Fra i maggiori rischi per i mercati citati da Molina ci sarebbe la possibilità di “un errore nella politica monetaria della Fed” costituito da “un forte aumento dei tassi di fronte, ad esempio, ad un’inflazione molto negativa”. Una scelta che “porterebbe di conseguenza a una recessione economica” e “a un calo ancora maggiore dei mercati azionari”. In questo caso “i settori con il debito più elevato sarebbero, in linea di principio, i più colpiti”, ha dichiarato l’analista di eToro, “l’edilizia abitativa potrebbe essere colpita pesantemente nel contesto dell’aumento dei tassi già che negli ultimi sei mesi, il tasso dei mutui a 30 anni è già raddoppiato”.