L’8% degli studenti – e il 23% di quelli con disabilità – non ha mai avuto accesso a nessuna forma di Dad nel corso del 2020. E ci sono oltre 200mila bambini e ragazzi poveri in più rispetto al 2019
La speranza di vita torna al livello del 2010, a 82 anni in media. È un arretramento non ancora concluso, e che richiederà tempo per essere pienamente recuperato.
La fotografia è quella di un dramma sociale che si affianca a quello economico, o forse ne è solo una lettura diversa.
Il rapporto Bes
Il Rapporto offre una lettura del benessere nelle sue diverse dimensioni, basata sul nuovo set di indicatori, ponendo particolare attenzione alle differenze territoriali, di genere, età e titolo di studio. Viene anche presentata un’analisi dell’evoluzione degli indicatori negli ultimi dieci anni, trasversale ai vari domini in cui è articolato il benessere. Nell’edizione 2020, sono stati integrati nuovi indicatori in coerenza con le linee fondamentali del programma #NextGenerationEU e risponde a esigenze conoscitive specifiche, tra cui l’arricchimento delle informazioni disponibili sugli aspetti sanitari, sulla digitalizzazione, sul capitale umano (sia dal lato della formazione, sia dal lato del lavoro) e sul cambiamento climatico. Vediamo dunque nel dettaglio quali sono i risultati.
Il Covid ha ridotto la speranza di vita e acuito il disagio psicologico
Iniziamo a leggere i dati sul fronte sanitario. La speranza di vita alla nascita tra il 2010 e il 2019, pur con evidenti disuguaglianze geografiche e di genere era sempre cresciuta. Il Covid-19 ha annullato, completamente nel Nord e parzialmente nelle altre aree del Paese, i guadagni in anni di vita attesi maturati nel decennio. In particolare, nel Nord la speranza di vita passa da 82,1 anni nel 2010 a 83,6 nel 2019, per scendere nuovamente a 82 anni nel 2020. Nel Centro passa da 81,9 nel 2010 a 83,1 anni nel 2020 e nel Mezzogiorno da 81,1 a 82,2 anni, con perdite meno consistenti nell’ultimo anno (rispettivamente -0,5 e -0,3 anni). È un arretramento non ancora concluso, e che richiederà tempo per essere pienamente recuperato.
Nel 2020 in Italia l’indice di salute mentale assume il valore di 68,8: ma il dato rilevante è che rispetto al 2019, emergono tendenze differenti in sottogruppi di popolazione, evidentemente i più fragili. Peggiora la situazione degli over 75 e delle persone sole nella fascia di età 55-64, soprattutto al Nord. L’indice di salute mentale peggiora anche tra le giovani donne di 20-24 anni e in alcune regioni come Lombardia, Piemonte e Campania, Molise.
Istruzione, i danni della Dad
Era una sensazione diffusa, ma il rapporto Bes la conferma senza mezzi termini. La conseguente chiusura di scuole e università e lo spostamento verso la dad o ddi che dir si voglia ha acuito le disuguaglianze. In Italia, nonostante i miglioramenti conseguiti nell’ultimo decennio, non si è ancora in grado di offrire a tutti i giovani le stesse opportunità per un’educazione adeguata. Il livello di istruzione e di competenze che i giovani riescono a raggiungere dipende ancora in larga misura dall’estrazione sociale, dal contesto socio-economico e dal territorio in cui si vive. Il 2020 ha messo su questo deficit la pietra tombale. La dad non funziona, se è vero che, nonostante nell’anno scolastico 2019/20 gli istituti si siano attrezzati in varie forme di didattica a distanza e nonostante gli sforzi di dirigenti, docenti e famiglie, l’8% dei bambini e ragazzi delle scuole di ogni ordine e grado è rimasto escluso da una qualsiasi forma di dad e non ha preso parte alle video-lezioni con il gruppo classe. Tale quota sale al 23% tra gli alunni con disabilità. Sicuramente in questo numero pesa la nostra scarsa competenza digitale, che ci vede ultimi nell’Ue a 27 nel famoso indice Desi. Secondo Istat nel 2019, tra gli individui di 16-74 anni soltanto il 22% ha dichiarato di avere competenze digitali elevate (contro il 31% nella Ue27). La maggioranza degli individui è in possesso di competenze basse (32%) o di base (19%) mentre il 3,4% ha competenze praticamente nulle e il 24% dichiara di non aver usato Internet negli ultimi tre mesi.
Un gap culturale più profondo con l’Europa
Non solo sulle competenze digitali, ma anche sul fronte del livello di istruzione si è ampliato il divario dell’Italia rispetto all’Europa. Nel secondo trimestre 2020 il 62,6% dei 25-64enni hanno almeno il diploma superiore (54,8% nel 2010); tale quota è inferiore del 16% alla media europea. Tra i giovani di 30-34 anni il 27,9% ha un titolo universitario o terziario (19,8% nel 2010) contro il 42,1% della media Ue27. Nel secondo trimestre 2020 sale al 23,9% la quota di giovani di 15-29 anni che non studiano e non lavorano (Neet), dopo alcuni anni di diminuzioni (21,2% nel secondo trimestre 2019). Incide particolarmente la componente dovuta all’inattività, specie nelle regioni del Centro-nord, dove la ricerca di lavoro ha subito una brusca interruzione dovuta alla pandemia. In Italia l’aumento è stato più accentuato rispetto al resto d’Europa, accrescendo ulteriormente la distanza (+6 punti percentuali nel secondo trimestre del 2010, +10 punti nel 2020). Altrettanto alta è la quota di giovani che escono prematuramente dal sistema di istruzione e formazione dopo aver conseguito al più il titolo di scuola secondaria di primo grado (scuola media inferiore). Nel secondo trimestre 2020, in Italia, il percorso formativo si è interrotto molto presto per il 13,5% dei giovani tra 18 e 24 anni, valore in netto calo rispetto al 2010 ma pressoché stabile dal 2017.
Nel 2020 la possibilità di partecipare ad attività di apprendimento diverse dalla formazione scolastica e universitaria, è stata, anch’essa, bruscamente interrotta, soprattutto nei mesi di marzo, aprile e maggio, o parzialmente riconvertita in altre forme di fornitura. La partecipazione media per l’Italia è scesa al 7,2% degli individui. Il calo è particolarmente evidente al Nord (dal 10,5% del secondo trimestre 2019 al 7,9% dello stesso periodo nel 2020) e al Centro (dal 9,6% all’8,2%).
Annullati i progressi di dieci anni in ambito di partecipazione culturale (ma si torna a leggere)
A partire dal 2010, la partecipazione culturale fuori casa è molto diminuita, fino a toccare il minimo nel 2013 (30,6%) per poi registrare in tutti i territori un trend crescente fino al 2019. Nel 2020, il lockdown ha inciso sulle attività del tempo libero che si svolgono fuori casa, annullando completamente i progressi degli ultimi anni: la quota di persone di 6 anni e più che si sono dedicate ad almeno due attività culturali fuori casa (come andare al cinema, a teatro o a un concerto, visitare musei o mostre) è scesa al 30,8% dal 35,1% dell’anno precedente. La buona notizia è che in compenso la lettura di libri, complice il maggior tempo trascorso entro le mura domestiche, è in ripresa (39,2%) rispetto al trend decrescente registrato fino al 2019 (dal 44,4% del 2010 al 38% nel 2019). Tra il 2019 e il 2020 è in aumento soprattutto la lettura di almeno quattro libri nell’anno, mentre si osserva una sostanziale stabilità nella lettura di almeno tre quotidiani a settimana.
Retribuzioni in calo e donne penalizzate sull’occupazione
Nel secondo trimestre 2020, l’emergenza sanitaria ha comportato in Italia un forte calo del numero di occupati: sono 788mila in meno (tra i 20-64 anni) rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente; il tasso di occupazione (sempre 20-64 anni) scende al 62%, in diminuzione di 2 punti percentuali. In dieci anni i divari con l’Europa per i tassi di occupazione si sono ulteriormente allargati e sono particolarmente evidenti per le donne. Nel 2010, il tasso di occupazione delle donne di 20-64 anni in Italia era di 11,5 punti più basso rispetto alla media europea, e nel 2020 il distacco arriva a circa 14 punti in meno. Non c’è da stupirsi: l’inserimento dei bambini di 0-2 anni nelle strutture per la primissima infanzia è cresciuto nel tempo, dal 15,4% nel triennio 2008-2010 al 28,2% nel 2018-2020, ma rimane un livello inferiore all’obiettivo europeo di almeno un bambino su tre fissato per il 2010.
Nel 2020 sono calate le retribuzioni: in particolare nel secondo trimestre sale al 12,1% l’incidenza dei lavoratori dipendenti con bassa paga (retribuzione oraria inferiore a 2/3 di quella mediana) dal 9,6% nello stesso periodo del 2019). Dopo sei anni di lento ma continuo calo, torna a crescere la quota di lavoratori che restano per lunghi periodi nello status di occupato a termine attraverso una successione di contratti a tempo determinato. Nel secondo trimestre dello scorso anno, la quota dei lavoratori a termine di lungo periodo passa infatti dal 17,6% al 18,7%. Nel secondo trimestre 2020 è stato boom dello smart working: la quota di occupati che hanno lavorato da casa almeno un giorno a settimana ha superato il 19% (dal 4,6% del secondo trimestre 2019), raggiungendo il 23,6% tra le donne. Ciò non rassicura chi ha un lavoro rispetto al suo futuro: sono quasi 1,8 milioni gli occupati che temono fortemente di perdere il lavoro senza avere la possibilità di sostituirlo.
La povertà è a livelli mai visti dal 2005
Dopo un biennio in cui si era assistito a crescita del tasso di occupazione, riduzione della povertà assoluta e grave deprivazione, aumento del reddito e del potere d’acquisto delle famiglie, “anche grazie al potenziamento degli interventi di sostegno al reddito” (ovvero il famigerato RdC), la pandemia ha colpito il sistema economico italiano in forme e intensità allarmanti e imprevedibili. Il crollo dei livelli di attività economica ha avuto effetti negativi sul reddito, sul potere d’acquisto e soprattutto sulla spesa per consumo. L’aumento della povertà si è concentrato su alcuni segmenti di popolazione e su alcuni territori. La stima preliminare per il 2020 identifica oltre 5,6 milioni di individui in condizione di povertà assoluta in Italia, con un’incidenza media pari al 9,4%, dal 7,7% del 2019: si tratta dei valori più elevati dal 2005. La povertà cresce soprattutto al Nord, area particolarmente colpita dalla pandemia, dove la percentuale di poveri assoluti passa dal 6,8% al 9,4% degli individui. Colpisce, inoltre, prevalentemente le famiglie con bambini e ragazzi: l’incidenza di povertà tra gli individui minori di 18 anni sale di oltre due punti percentuali (da 11,4% a 13,6%, il valore più alto dal 2005) per un totale di 1 milione e 346mila bambini e ragazzi poveri, 209mila in più rispetto all’anno precedente. Un’emergenza sociale che non si può far finta di non vedere e che dovrebbe dare un indirizzo anche ai policy maker sulla strada da seguire.