Anna Gervasoni, Aifi: “Negli ultimi tre anni, tra private equity e private debt, abbiamo investito 25 miliardi coinvolgendo 1.500 imprese. Numeri contenuti, rispetto a quelli che l’Italia si merita”
“I nuovi pir rappresentano una straordinaria opportunità oggi”, aggiunge Andrea Ghidoni di Assogestioni. “Ma bisogna dare continuità alla normativa e investire sull’educazione finanziaria degli investitori”
Secondo Raffaele Jerusalmi, amministratore delegato di Borsa Italiana, in questo contesto “uno degli elementi fondamentali è disporre di canali alternativi a quello bancario, per poter continuare a finanziarie progetti d’investimento”. “Noi tendiamo a caratterizzare l’Italia come un paese di piccole e medie imprese, le cui problematiche rappresentano una sorta di peculiarità italiana – aggiunge – In realtà, il tema delle pmi è un tema globale, e sempre più pmi cercano di raccogliere capitali. È importante consentire a queste imprese di farlo, usando anche le possibilità che vengono dal mondo del private equity e del venture capital”.
Nuovi pir, Assogestioni: dare continuità alla normativa
Sulla stessa linea d’onda anche Anna Gervasoni, direttore generale di Aifi, secondo la quale il private capital rappresenterebbe oggi una strada fondamentale per facilitare l’aggregazione, la creazione di poli industriali, l’internazionalizzazione delle imprese e lo sviluppo delle capacità imprenditoriali. “Negli ultimi tre anni, tra private equity e private debt, abbiamo investito 25 miliardi coinvolgendo 1.500 imprese. Numeri contenuti, rispetto a quelli che l’Italia si merita. Ma sta succedendo un fenomeno importante nel mondo: grandi investitori istituzionali investono il 30% negli alternativi e la quota di private equity è crescente”. Un contesto, secondo l’esperta, che potrebbe incentivare nei prossimi anni l’arrivo di capitali in Italia anche attraverso circuiti internazionali, che dovranno tuttavia essere “indirizzati verso le imprese con competenza”.
Startup e incumbent insieme per l’innovazione
Un ultimo aspetto da non sottovalutare riguarda poi l’evoluzione dei servizi bancari che, secondo gli esperti, rappresenta ormai “un processo irreversibile”. “Come dimostrano i numeri, il settore bancario ha svolto un lavoro straordinario nel 2020, continuando a erogare servizi a imprese e famiglie – spiega Rinaldi – Per farlo, ha dovuto mettere in campo soluzioni innovative, facendo anche i conti con un basso grado di alfabetizzazione informatica della clientela”. Sebbene la pandemia abbia accelerato l’uso di strumento di pagamento alternativi al contante, aggiunge, l’Italia resta fanalino di coda in Europa su questo fronte. “È chiaro che le misure messe in campo dal governo, in particolare il cashback e la lotteria degli scontrini, potranno favorire e rendere strutturale questo trend. Oltre alla sottoscrizione di contratti bancari e di credito mediante posta elettronica. Ma occorre trasformare le misure emergenziali in misure strutturali, anche per dare una direzione diversa al mondo bancario”, conclude, sottolineando come sia necessario “lavorare per costruire processi nativamente digitali anziché sulla digitalizzazione del mondo analogico”.
Sul tema anche Paolo Zaccardi, co-founder di Fintech District & ceo e co-founder di Fabrick. Il fintech, spiega, ha raggiunto oltre 300 miliardi di raccolta nel 2019 e, nell’anno della crisi, il 70% delle realtà del settore ha registrato un vantaggio piuttosto che un impatto negativo, perché in grado di “intercettare meglio questo cambio di paradigma”. “Come far leva, dunque, su un processo che riteniamo irreversibile? Credo che l’elemento principale sia creare meccanismi di ecosistema e collaborazioni strutturali”. Poi conclude: “Il nostro obiettivo è generare un’opportunità di connessione tra incumbent e startup, che via via potranno innovare pezzi di servizio”.