Il Brent dai minimi di aprile (16 dollari al barile) è stato protagonista di un recupero molto robusto che lo ha portato ai livelli pre covid (60 dollari al barile)
Secondo Gaetano Evangelista, amministratore unico di Age Italia, questo rialzo è stato imputabile in un primo momento a importazioni cinesi e acquisti da parte degli hedge fund
Storicamente quando un’asset class è l’ultima della classe per due anni consecutivi al terzo consegue dei robusti rimbalzi sovraperformando l’indice generale
Le due fasi della corsa del petrolio
La corsa del petrolio ai 60 dollari al barile secondo Gaetano Evangelista, amministratore unico di Age Italia e socio di Siat, ha avuto due fasi e tre attori distinti. A risollevare il prezzo del greggio inizialmente sono state le importazioni cinesi. “Le importazioni cinesi di petrolio tra maggio e luglio sono cresciute del 25% su base annua: il ritmo più sostenuto degli undici anni” osserva Evangelista che spiega che da parte di Pechino ci sia stata, perfettamente in linea con la sua politica anticiclica, un’accumulazione di scorte anche per uso differito. Tant’è che l’accelerazione estiva a buon mercato si è trasformata, man mano che i prezzi salivano, in decelerazione invernale: “il volume di petrolio detenuto da Pechino a fine 2020 è risultato essere del 8% inferiore rispetto a fine 2019”. Anche la componente finanziaria e speculativa è andata a due velocità: investire quando il prezzo è basso per ridurre l’esposizione quando si alza. “Gli hedge fund, pur rimanendo nella parte lunga del mercato, hanno diminuito nelle ultime settimane la loro esposizione al petrolio. La quota di mercato è passata dal 28% al 20,9% nel giro di sei mesi” continua Evangelista. A cosa è dovuto dunque il rialzo del prezzo del petrolio di queste settimane, in aumento da inizio febbraio di quasi il 10%?
Il Brent mette nel mirino i 70 dollari
Essenzialmente all’aumento della domanda globale, riflesso di una ripresa economica più virtuosa del previsto. “Il numero delle economie in condizione di espansione economica – il che significa tecnicamente avere un leading indicator sopra i 100 punti – è aumentato. Ad oggi tra le prime 38 economie dell’OECD 16 sono in espansione” spiega Evangelista che sottolinea che buone notizie dovrebbero arrivare dalle trimestrali americane: il monte utile delle società americane è previsto essere superiore rispetto a quello di fine 2019. “Lo scenario tecnico è dunque confortante. È presumibile già nei prossimi giorni un prezzo del petrolio a 64 dollari che potrebbe superare i 70 dollari per barile con l’inizio della primavera, allorché il ciclo economico dovrebbe conoscere un culmine”
La statistica e i giornali sono dalla parte del petrolio
Oltre alle motivazioni che hanno spinto il petrolio verso i 60 dollari secondo Evangelista ci sono altre considerazioni, statistiche e non, che supportano una visione rialzista. L’Energy nel 2020 è risultato il peggiore per performance degli undici sottoindici S&P, per il terzo anno di fila: con saldi sequenziali del -20.5, +7.6 e -37.3 percento. Lo scostamento nel 2020 fra il primo della classe – la tecnologia – e l’ultimo ha sfiorato gli 80 punti percentuali. Tuttavia la statistica è dalla parte del comparto energetico. Scommettere sull’ultimo della classe dei due anni precedenti l’anno successivo, nel 76% dei casi, permette di guadagnare mediamente il 16,7% annuo. Infine quando il pronunciamento a favore delle fonti di energia rinnovabili riecheggia le copertine drammaticamente scettiche dei giornali, come è capitato in autunno quando l’Economist “ha provato a dare il bacio della morte alle fonti di energie tradizionali”, quest’ultime resuscitano. Era già capitato nel marzo 1999 e nell’ottobre 2003: in entrambi i casi seguirono rialzi pluriennali di prezzo.