Si mantiene alta la sensibilità degli investitori istituzionali italiani nei confronti della sostenibilità ambientale e sociale
Unico neo, i modesti investimenti in economia reale, a eccezione delle fondazioni di origine bancaria
Il report è però portatore anche di buone notizie, negli ultimo 12 anni il patrimonio degli investitori istituzionali è infatti cresciuto dell’82,5%, passando da 142,85 miliardi di euro nel 2007 a 260,68 miliardi nel 2019. Questo rappresenta il 14,6% del Pil. Se poi si includende anche il welfare privato (compagnie di assicurazione del settore vita, rami I, IV e VI, fondi aperti e Pip), tale rapporto sale al 51,3%.
Dal punto di vista dei rendimenti, a differenza del 2018, il 2019 è stato un anno particolarmente brillante per i mercati finanziari. Tutti gli investitori, sottolinea il report, hanno realizzato ottime performance, recuperando i risultati negativi registrati nel 2018. In particolare, i Pip investiti in unit linked hanno segnato un +12,2% (contro il -6,5%), seguiti dai fondi pensione aperti con un +8,3% (-4,5% nel 2018), dai fondi negoziali con +7,2%, dalle fondazioni di origine bancaria con un +6,5% e dai fondi preesistenti con il 5,6%, battendo i rendimenti obiettivo inflazione, Tfr e media quinquennale del Pil, incrementati rispettivamente di 1%, 1,5% e 1,9%.
Emerge poi una particolare attenzione nei confronti della ricerca di rendimenti e una miglior gestione dei rischi anche attraverso l’adozione di politiche socialmente responsabili: “circa la metà degli investitori che hanno partecipato alla ricerca (63 tra fondi pensione negoziali e preesistenti, fondazioni di origine bancaria e casse professionali) adotta già oggi una politica di investimento sostenibile e l’88% di tutti i rispondenti intende includere o incrementare in futuro una strategia che tenga conto dei cosiddetti fattori Esg, in aumento rispetto all’80% dello scorso anno”, si legge nel report. L’analisi si è però spinta oltre i semplici i numeri e anche indagato le motivazioni alla base di queste scelte. La maggioranza (88%) ha indicato come principio generale il fatto di poter: “fornire un contributo allo sviluppo sostenibile (ambientale e sociale)” resta il principio generale indicato. Se poi si comparano le risposte con quelle ottenute l’anno precedente si nota come, l’81% abbia risposto “gestire in maniera più efficace i rischi finanziari”, a fronte di circa il 50% del 2019. E dunque da una parte sembra essere cresciuta la sensibilità verso il tema dello sviluppo sostenibile, in un anno che lo ha visto protagonista, dall’altra, è aumentata la convinzione circa gli effetti positivi che queste politiche possono avere sull’ente, dalla reputazione ai risultati finanziari.
E infine l’analisi sottolinea anche come siano cresciuti gli investimenti in economia reale, anche domestica, finalizzati a generare ricadute positive per il territorio. “In particolare, anche per il 2019, considerando la quota nella banca conferitaria, in cassa depositi e prestiti e fondazione con il sud, le fondazioni di origine bancaria si riconfermano i maggiori investitori in economia reale domestica, con il 44,36% del patrimonio investito; seguono le casse privatizzate dei liberi Professionisti, con il 21,36% in aumento rispetto al 16,31% dell’anno precedente e al 14,6% del 2017”, si legge dal report. Inoltre, migliora anche la percentuale investita nel Paese da parte di fondi pensione negoziali e preesistenti, pur rimanendo modesta e fermandosi rispettivamente a 3,42% e al 4,08% del patrimonio destinato alle prestazioni (vale a dire 56,14 e 63,41 miliardi). “A impressionare non positivamente è sicuramente l’esiguità degli investimenti dei fondi di natura contrattuale, in gran parte alimentati dal Tfr circolante interno alle aziende e che, quindi, è e dovrebbe essere la prima e principale forma di sostegno all’economia reale. Dal 2007 alla fine del 2019 ai fondi pensione e al fondo gestito dall’Inps sono confluiti circa 140 miliardi di Tfr sottratti alle imprese italiane, alle quali ne sono tornati mediamente poco più del 3% l’anno, che possiamo stimare in circa 33 miliardi di euro: si tratta ovviamente di dati su cui riflettere, anche per le loro ripercussioni sia sull’occupazione sia sulla produttività e, quindi, sullo sviluppo del nostro Paese”, conclude Brambilla.