La crisi sarà più dura di quanto possa sembrare. I grandi patrimoni sono favoriti perché possono permettersi il lusso di non effettuare un disinvestimento
Se si guarda la curva dei dividendi dell’S&P 500, il paniere azionario americano, dal 1.860 al 2.012, si vede una linea in costante crescita
L’emotività è una pessima consigliera in tema d’investimenti. Ma non è detto che tenere in portafoglio i titoli che perdono sistematicamente sia una buona idea
La strategia, per chi naviga nel periglioso mare degli investimenti, è dunque quella della saggezza. Soprattutto chi ha grandi patrimoni, e quindi può permettersi di non smobilizzare ingenti quote di investimenti, deve resistere all’emotività del momento: “Per questa categoria di investitori l’unica strategia possibile è tenere a lungo e differenziare”, spiega Trevisan. “Detto questo, io adotterei giusto un paio di accorgimenti: vendere i titoli che perdono in maniera sistematica. Attenzione, però, quelli che guadagnano non è detto siano da vendere. Bisogna effettuare una diversificazione ragionevole, senza
farci influenzare troppo dai rendimenti degli ultimi due o tre anni”. Il mercato, infatti, tende a valutare con eccessivo ottimismo, oppure pessimismo, le informazioni nuove che riceve. In tal senso, la vera bussola per orientarsi sui mercati è quella della valutazione dei fondamentali di un’azienda: “Se guardassimo la curva dei dividendi dell’S&P 500 dal 1.860 al 2.012, vedremmo una curva in costante crescita. Confrontandola con la curva dei prezzi sui mercati finanziari, potremmo osservare che non c’è quasi mai una sovrapposizione. Questa è sempre sopra o sotto la curva dei dividendi. È però altrettanto chiaro che tutte e due, nel lungo periodo, vanno nella stessa direzione”.
Usciti dalla crisi, poi, si dovrà fare i conti con un mondo cambiato. Ci saranno economie nazionali più in difficoltà di altre. E questo avrà inevitabilmente a che fare con la capacità di uno Stato di intervenire nell’economia in modo efficace. “Ci sarà un meccanismo di selezione da mercato”, analizza il managing partner, “avremo un aumento di tutti quei settori che non presuppongono una grande fisicità nell’acquisto dei loro prodotti. In un certo senso, potrebbe essere la svolta per il mondo dell’economia digitale. Questa nel periodo pre-crisi stentava a crescere, ma la pandemia è stata una grande scuola forzata per tutti. E questo avrà sicuramente degli impatti in termini di commercio e utilizzo dei servizi”.
Infine, un altro grande argomento del post crisi sarà farsi trovare pronti per la ripartenza. In questo senso ci potrebbero essere alcuni settori, tra i più falcidiati dal virus, alle prese con alcune difficoltà: “Il mercato non viene solo determinato dalla domanda, ma anche dall’offerta. Prendiamo l’industria turistica: se questa non avrà risorse per fare investimenti e per comunicare, è chiaro che soffrirà moltissimo a prescindere dal ritorno della domanda. E lo stesso può valere per altri settori. Non è quindi solo importante che il mondo riparta, ma anche capire come si potrà cavalcarne la ripresa: questo vale per il settore bancario come per il comparto industriale classico”.