In questa terza settimana di dicembre gli investitori avranno modo di mettersi nuovamente all’ascolto delle tre principali banche centrali, che dovrebbero iniziare a rallentare il ritmo dei rialzi inaugurando così la parte conclusiva dei rispettivi cicli di aumenti dei tassi. Il calendario è particolarmente fitto: mercoledì 14 dicembre, in serata per l’orario italiano, sarà il turno della Federal Reserve. Seguiranno il giorno dopo, nell’ordine, la Banca d’Inghilterra e la Banca centrale europea. “Un rialzo di 50 punti base risulta essere la principale mossa attesa dai vari governatori”, ha commentato a We Wealth il market analyst di eToro, Gabriel Debach, “anche se i toni potrebbero essere molto diversi tra l’uno e l’altro”.
Tre i principali obiettivi che si presentano di fronte alle banche centrali in questa fase del loro percorso anti-inflazione, secondo il chief global strategist di Intermonte, Antonio Cesarano: “Arrivare ad un tasso di approdo ritenuto appropriato; successivamente procedere con una pausa ed in questo caso definirne la durata; l’orientamento sull’attuazione del Quantitative Tightening”.
Il caso statunitense: verso toni più morbidi
Nonostante ci si aspetti un rialzo da 50 punti base per tutte e tre le banche centrali in questa riunione di fine anno, le situazioni economiche sottostanti sono particolarmente diverse fra le due sponde dell’Atlantico. Negli Stati Uniti, si guarderà con grande attenzione il dato sull’inflazione Cpi di novembre, nel pomeriggio di martedì 13 dicembre. Finora, l’andamento dei prezzi ha offerto qualche segnale di picco anche nella componente di fondo (passata fra settembre e ottobre dallo 0,6 allo 0,3% mensile).
Questo elemento, aveva innescato qualche speranza sul fatto che il tasso terminale della Fed non sarebbe stato rivisto al rialzo alimentando un balzo dell’S&P 500 lo scorso 10 novembre. Se il quadro resterà sostanzialmente invariato sarà lecito aspettarsi qualche conferma in più sul fatto che la Fed si sta avviando a interrompere il suo ciclo di rialzi. L’attuale tasso sui fondi federali è 3,75-4%: altri due rialzi da mezzo punto poterebbero di fatto Jerome Powell e i suoi colleghi al punto di arrivo. Da lì in poi, aveva anticipato il presidente in un intervento alla Brookings Institution, si sarebbero attesi gli effetti dei rialzi che, di solito, si rivelano con un certo ritardo. “Mi aspetterei una maggiore probabilità di sentire nuove dichiarazioni che possano anticipare quando si interromperà il ciclo di aumenti dei tassi negli Stati Uniti”, ha dichiarato Debach, “rispetto ad un’Europa tuttora troppo incerta, caratterizzata da un’inflazione core ancora non in calo e alle prese con le decise incertezze energetiche”, ha aggiunto l’analista di eToro, “le parole della Fed dovranno tuttavia essere attente ad evitare un eccessivo entusiasmo dei mercati, che potrebbero compromettere le aspettative inflazionistiche”.
“Powell”, ha affermato in sintonia con questo messaggio Antonio Cesarano, “potrebbe richiamare l’attenzione sui rischi sulla crescita e sul fatto che la Fed non voglia danneggiare eccessivamente l’economia, accennando all’ipotesi freno dei rialzi con una frase generica del tipo ‘si sta avvicinando il momento di una pausa lunga’ senza però fissare già a febbraio (mese della prima riunione Fed 2023) il momento dello stop, viste ancora le incertezze sul fronte inflazione”.
Da tenere d’occhio nel dopo riunione del Fomc sarà il cosiddetto dot plot, che indica le attese future sui tassi secondo i vari membri del comitato: “Offriranno un’importante visuale su quale potrebbe essere il tasso terminale atteso, con la soglia del 5% attentamente monitorata”, ha affermato Debach, “i mercati attualmente assegnano una maggiore probabilità ad un tasso terminale per la Fed del 5 – 5,25%”.
La posizione della Bce
Per la Bce la situazione si complica, perché il rischio di eccedere con i rialzi dei tassi potrebbe essere più elevato, considerando una recessione tecnica che in molti Paesi membri potrebbe essere già alle porte. Il rallentamento del ritmo di rialzo a 50 punti base, dai precedenti 75, è quello più probabile, complice anche il dato migliore delle attese arrivato dall’inflazione dell’Eurozona a novembre (di nuovo al 10% annuo a novembre secondo la stima preliminare).
Secondo Cesarano a questo provvedimento morbido dovrebbe essere affiancato “l’annuncio delle linee guida che verranno seguite per l’implementazione della riduzione del bilancio tramite “quantitative tightening (riferito alla sola linea App e non anche al più flessibile piano Pepp) ad inizio 2023”. In breve, si tratta del mancato reinvestimento dei titoli giunti a scadenza nel bilancio della banca centrale – che riduce le attività e contribuisce a restringere ulteriormente la liquidità in circolazione. “Un’ipotesi alternativa, non del tutto da escludere, potrebbe essere quella di procedere ad un altro rialzo di 75 punti base, a fronte però di uno slittamento della partenza del Qt ‘più tardi nel primo trimestre’ o ‘nel corso del primo semestre’”, ha affermato Cesarano, “in questo modo la Lagarde potrebbe raggiungere un consenso più ampio tra le posizioni dei falchi (prevalentemente nord Europa, più attenti al livello dei tassi) e colombe (sud Europa, più sensibili all’impatto del Qt)”.
“Questa seconda opzione”, ha precisato Cesarano, “sarebbe anche supportata dall’accelerazione della riduzione del bilancio tramite rimborsi anticipati della Tltro che, già a fine 2022, porterà l’attivo totale sotto gli 8.000 miliardi di euro. Di conseguenza, la riduzione del bilancio tramite Qt potrebbe essere meno urgente e quindi spostata più in avanti nel tempo, consentendo, soprattutto ai Paesi con maggiori esigenze di finanziamento, di poter contare ancora sui reinvestimenti della Bce per diversi mesi del primo semestre”.
Per il Regno Unito, infine, un dato sul Pil migliore delle attese e il rientro della crisi di fiducia politica innescata dall’ex premier Truss ha riportato maggiore calma sui Gilt e a una revisione al ribasso sul tasso terminale britannico al 4,5% (dal 3% attuale), ha ricordato Debach. Con queste premesse la Boe dovrebbe optare per una riduzione del ritmo dei rialzi da 75 punti base a un più contenuto aumento da 50 punti base. Secondo Debach è difficile continuare a scommettere sul recupero della sterlina, che dalla fine di settembre ha recuperato quasi il 18% sul dollaro: “Il rally potrebbe trovare le prime principali aree di resistenza”.