L’energia è stata ancora una volta la principale componente dei rincari osservati negli Stati Uniti, ma i prezzi sono aumentati in tutte le componenti-chiave del paniere: dagli affitti ai servizi sanitari. L’indice di fondo, che esclude cibo ed energia, è aumentato del 4,9% su base annua e di mezzo punto rispetto al mese di ottobre
Gli occhi sono puntati ora verso la Federal Reserve, che il 15 dicembre annuncerà le attese contromosse: ci si aspetta che l’atteggiamento attendista dei mesi scorsi sarà messo decisamente da parte
Si rafforza, dunque, l’aspettativa che il Federal open market committee aumenterà il ritmo del tapering, anticipando la fine del piano di acquisti di titoli e, di conseguenza, anche la prima “data utile” per avviare il rialzo dei tassi. La normalizzazione della politica monetaria della Fed è considerata come una delle “storie” più importanti per i mercati nel 2022, con impatti a vari livelli. Dalle prospettive di crescita economica americana (solitamente rallentata dal restringimento della politica monetaria) a quelle dei titoli azionari growth (i più colpiti nello scenario dei tassi d’interessi in aumento).
Cosa ci dicono i dati sull’inflazione Usa
I dati pubblicati dal Bureau of labor statistics, offrono un nuovo spaccato sulla natura sempre più ampia dei rincari osservati negli Stati Uniti. Ogni singola categoria ha registrato incrementi rispetto ad ottobre, dall’energia ai servizi sanitari, agli affitti.
Nel loro complesso i prodotti energetici hanno segnato un rincaro mensile del 3,5% (in rallentamento dal +4,8% di ottobre) e del +33,3% su base annua. I soli carburanti hanno mantenuto il ritmo di rincaro congiunturale (mese su mese) del 6,1%, con un tasso di crescita annuo del 58,1%. L’energia resta ancora il principale driver dell’inflazione, ma anche tutto il resto costa più.
L’indice dei prezzi core, che esclude le componenti più volatili del paniere come cibo ed energia, è cresciuto dello 0,5% mensile e del 4,9% annuo. A spingere quest’ultimo indicatore sono, ancora una volta, i prezzi delle auto nuove (+1,1%) e usate (+2,5% mensili) alimentati dalla carenza nell’offerta di nuovi veicoli dovuta alla crisi dei semiconduttori. Rispetto al 2020 le auto usate, negli Stati Uniti, costano quasi un terzo in più. Anche il vestiario ha segnato una forte accelerazione a novembre, con un rincaro mensile dell’1,3% che ha portato il tasso annuo al +5%.
Su base annua, i prezzi di trasporti (+3,9%), affitti (+3,8%), servizi sanitari (+2,1%) si mantengono al di sopra dei target della Fed e rischiano di incorporare stabilmente i rincari del 2021. Il rincaro degli affitti è particolarmente tenuto sott’occhio dagli esperti in quanto poco volatile e decisamente “pesante” sull’indice generale (vale circa un terzo).
Il mercato del lavoro e l’impatto sui prezzi
L’aspettativa che i prezzi siano destinati a crescere con forza anche nel 2022 potrebbe alimentare le richieste salariali dei lavoratori americani, rinfrancati da un mercato occupazionale particolarmente favorevole per chi cerca un impiego. Nella settimana conclusa il 4 dicembre le nuove richieste di sussidio di disoccupazione sono state le più basse dal settembre 1969. Quando i licenziamenti sono pochi e il tasso di disoccupazione è basso (attualmente è al 4,2%) a salire è il potere contrattuale dei lavoratori, che si traduce in richieste salariali più elevate. Se parte dei costi sostenuti dalle imprese si trasmettono sui consumatori, attraverso aumenti dei prezzi, i due fenomeni rischiano di alimentarsi vicenda mandando l’inflazione fuori strada.
In questo momento, gli aumenti salariali negli Usa non sono stati in grado di superare il tasso d’inflazione. Secondo i dati elaborati dalla Fed di Atlanta la crescita annua delle retribuzioni ha raggiunto il +4,3% a novembre: 2,5 punti in meno dell’incremento dei prezzi al consumo, per quanto si tratti dell’incremento salariale più ampio mai visto dal 2007.
Per tutte queste ragioni ci si aspetta una decisa reazione da parte della Fed di Jerome Powell mercoledì 15 dicembre. Lo stesso presidente della banca centrale americana aveva ammesso, a fine novembre, come “il rischio di una maggiore inflazione sia aumentato”. E a gettare nuovi dubbi sul destino dei prezzi, come abbiamo visto, potrebbe aggiungersi presto anche l’incognita-Omicron.