Hanno poche reticenze rispetto alla possibilità di condividere dati, ma sono disposti a cambiare intermediario alla ricerca di offerte olistiche e di strumenti digitali (per avere una relazione senza interruzioni con il consulente). E sono attenti, più che nel resto d’Europa, alla sostenibilità ambientale soprattutto ma sempre più anche sociale, che cercano di ottenere con l’impact investing
Questa è la fotografia dei clienti Wealth italiani, che emerge dall’EY Global Wealth Research Report 2021, analisi che viene condotta ogni due anni a livello globale e che in questo caso ha riguardato 21 paesi a livello globale e più di 2.500 persone intervistate, con un questionario di oltre 45 domande specifiche
Quelli italiani sono distribuiti tra millennial, gen X e baby boomer e sono divisi per fasce di patrimonio in gestione: i lower private, tra 250mila e un milione di dollari; gli hnwi, tra uno e i 5 milioni e gli uhnwi, sopra i 5 milioni
Più in generale, la pandemia ha influenzato gli obiettivi finanziari dei clienti italiani introducendo una priorità che nel 2019 non era presente: un bisogno di protezione del patrimonio, che supera l’ottimizzazione che era l’esigenza principale due anni fa. Oggi il 55% dei rispondenti italiani sente la necessità di guidare il dialogo con il proprio Wealth Manager con un obiettivo primario di tutelare il patrimonio, per garantirsi risorse per le esigenze attuali e del prossimo futuro: la causa è probabilmente l’incertezza che la situazione contingente ha generato.
Di fronte a questo bisogno, i clienti wealth si sentono soddisfatti dell’offerta dei loro intermediari di riferimento? “La risposta la troviamo nella propensione a cambiare il proprio Wealth Manager – dice Incarnato – ebbene, il 40% dei rispondenti domestici intende o sta valutando di rivolgersi a un altro operatore, per affidargli circa il 30% della sua ricchezza finanziaria. Se da un lato si osserva una tendenza al cambiamento circoscritta solo a una parte del patrimonio e questo sottende una buona soddisfazione del cliente, dall’altro emerge la ricerca di un intermediario alternativo, che denota la mancanza di competenze distintive nell’offerta e nel modello di servizio dell’attuale gestore”.
Questa propensione a cambiare è maggiormente accentuata per alcuni segmenti di clienti: i millennial, i soggetti con una conoscenza finanziaria medio-alta e coloro i quali hanno un’elevata attitudine al rischio. “Sono dati importanti che possono identificare i clienti propensi all’abbandono, per tentare di trattenerli”.
Resta da capire come. Ma anche su questo punto EY ha qualche spunto da offrire. “I driver che portano il cliente a “guardarsi intorno” vedono al primo posto senza ombra di dubbio la performance sugli investimenti – dice Incarnato – entra tra le motivazioni, al terzo posto, il Covid-19 che ha portato un bisogno di maggior supporto, di percepire come, nonostante il periodo di volatilità e insicurezza, il modello di servizio adottato dal proprio Wealth Manager sia in grado di dare valore. Ancora, i clienti della next gen denotano come centrale nel valutare un cambiamento di intermediario la customer experience e dunque la digitalizzazione”.
I clienti in cerca di cambiamento si rivolgeranno potenzialmente a intermediari che hanno dunque a disposizione tre cose: un’ampia gamma d’offerta, un brand consolidato e capacità digitali.
“E nelle intenzioni i clienti dichiarano che prediligeranno sempre più asset manager, wealth tech e private banking specializzate. I modelli universali sono meno attraenti (con una riduzione marcata per le banche commerciali). È un travaso che avverrà nel corso dei prossimi tre anni, ovvero domani”.
Quanto ai prodotti, la ricerca è verso un’offerta olistica: il 36% dei clienti italiani dichiara di sentire l’esigenza di un unico provider finanziario per accedere a tutti i prodotti e servizi, pianificazione patrimoniale compresa. “Si tratta di un cambio di paradigma rilevante rispetto a uno scenario in cui, tipicamente, la clientela wealth preferiva mantenere rapporti con più intermediari. Si cerca un’offerta complessiva, una figura in grado di offrire una customer journey omogenea, di abbracciare tutti i servizi verticali di cui il cliente ha bisogno”. Per questo nel futuro, gli intermediari che non hanno queste competenze e che non possono costruirle da zero, devono “strutturare ecosistemi in cui siano fornite da terze parti”.
La richiesta di digitalizzazione si concretizza infine in una serie di feature tecnologiche che rendano senza soluzione di continuità il rapporto con il banker. “Il cliente associa alla tecnologia il valore aggiunto che consiste nell’interazione con esso in maniera flessibile, quando ha tempo, ne sente il bisogno e ovunque si trovi: un modello ibrido che diventa paradigmatico soprattutto per gli hnwi”, conclude Incarnato.