Secondo Bank of America le società tech statunitensi valgono 9100 miliardi di dollari, più della capitalizzazione complessiva dell’azionario europeo
Il 6,2% delle società tech hanno un rapporto prezzo/vendite superiore a 10, mentre il rapporto tra capitalizzazione di mercato e Pil americano ha superato il 200%
Dalla bolla dei tulipani in Olanda alla bolla dotcom di inizio millennio la storia è ricorsiva
La pazzia delle folle
Le bolle speculative non sono certo un fenomeno recente. Bisogna tornare indietro fino al 1624 per rinvenire la prima traccia di quella che Charles Mackay nel 1841 definì come “la pazzia delle folle”. In Olanda a quel tempo un bulbo di tulipano era arrivato a venire scambiato per 100.000 dollari. Passando dalla bolla della Compagnia delle Indie alla più recente bolla dotcom di inizio millennio emerge un carattere ricorsivo. I prezzi in tutti questi casi non rispecchiavano più il valore reale del bene in oggetto. La colpa è da ricondursi agli investitori, che difronte a belle storie continuavano e continuano tutt’oggi a farsi prendere da un’euforia irrazionale. Come in Giappone nel 1980 quando gli investitori investivano in progetti immobiliari, ancor prima che fossero concessi i permessi edilizi o rispetto a terreni che poi in realtà erano inaccessibili.
Le società tech nel 2020
Questa volta la bella storia potrebbe essere, come vent’anni fa, a sfondo tech. Guardando i prezzi delle principali società del settore, in effetti qualche dubbio sorge. Anche alla luce dell’importante correzione degli scorsi giorni. Un esempio su tutti è Tesla. La società a guida Elon Musk è cresciuta fino a 400 miliardi di dollari di capitalizzazione, dagli 80 di Marzo e dai 40 di un anno fa. La performance da inizio anno è pari al 400%, nonostante tra il 31 agosto e il 3 settembre il titolo sia sceso del 18%. Correzione che testimonia ad ogni modo un prezzo non in linea con i fondamentali. Considerando lo YTD dei titoli americani più capitalizzati emerge come Amazon sia cresciuto nel 2020 del 78,3%, Apple del 64,77%, Netflix del 59,49%, Facebook del 37,75%.
Indicatori che preoccupano
Non sono solo i grandi nomi, ma tutto il comparto tech che è cresciuto esponenzialmente. Oggi le azioni con una reale, o percepita, esposizione al cloud, ai pagamenti digitali, veicoli elettrici o a qualsiasi altra cosa collegata con l’economia domiciliare da lockdown attrae morbosamente l’attenzione degli investitori. Secondo Andrew Parlin, fondatore di Washington Peak, oltre alla “bella storia” ci sono anche numeri precisi che permettono di tracciare un parallelo con le bolle del passato, in particolare con la bolla dotcom. A partire dal rapporto price-to-sales. Un valore superiore a 10 generalmente segnala un rapporto price-to-earning superiore a 50. È dunque estremamente raro in condizioni di mercato normali che ci siano società con un rapporto così alto. Stando ai dati di Bloomberg oggi 530 delle 8513 azioni ordinarie sono scambiate a dieci volte rispetto alle vendite. Tale percentuale è passata dal 3,8 percento di marzo al 6,2% negli ultimi giorni. All’apice della dotcom le società che avevano un prezzo di 10 volte superiore alle vendite erano il 6.6%. Inoltre delle prime 10 società per capitalizzazione tre avevano un rapporto price to sales pari a 10: Cisco, Intel e Oracle. Oggi sono quattro: Microsoft, Facebook, Tesla e Visa.
Un altro indicatore che segnala una situazione preoccupante è il rapporto tra capitalizzazione del mercato e Pil. Lo stesso Alan Greespan nelle sue momerie scriveva nel 2007 che nel tardo 1996 l’America si stava trasformando in una nazione di stakeholders. Infatti il valore delle società americane era passato dal 60% al 120% del Pil tra il 1990 e il 1996, per poi giungere con il nuovo millennio al 140%. Solo il Giappone durante la bolla degli anni Ottanta aveva conosciuto una simile esposizione. Oggi tale percentuale ha raggiunto il 200%. Solo le società quotate sullo S&P 500 valgono il 150% del Pil. Più di quanto si registrava nell’America delle dotcom e nel Giappone dell’illusione immobiliare.