Va affrontato il tema della governance, per ora rimandato a una proposta successiva da sottoporre al Parlamento. E preoccupa il forte front loading sugli investimenti già realizzati, che potrebbe non passare in Ue.
Ma soprattutto, mancano le riforme strutturali inserite in una visione di lungo termine. Ovvero tutto ciò che rende il debito sostenibile e che può attivare l’effetto leva sugli investimenti privati.
Ci vuole una vision per far crescere il Pil
E per far crescere il Pil, la via obbligata, nota, è quella delle riforme. Bisogna agire e farlo in fretta. Anzi, siamo già in ritardo. “Mi aspettavo che a gennaio avremmo avuto una vision chiara di politica industriale e un piano vaccinale che avrebbe contribuito a fornire un orizzonte chiaro di aperture e ripresa del Paese. Mentre quello che abbiamo visto a gennaio sono stati i 24 miliardi stanziati con l’ennesimo decreto Ristori: palliativi che non hanno senso se non si ha visibilità sulla gestione della crisi. Insomma, non si va fuori dalla logica delle mance: è molto miope”. E la crisi in corso nella maggioranza rischia di peggiorare le cose. “Lo farà se si andrà verso la formazione di un Conte ter non sostenuto da una maggioranza allargata. È un tema di unità nazionale: non ci sono responsabilità politiche singole. Per far atterrare il Recovery è necessario attuare una visione con un orizzonte di 4-5 anni, quasi una Costituente sul futuro del Paese”.
Le riforme che non ci sono
Insomma, è una sfida epocale quella a cui siamo chiamati, come epocale la crisi economica che stiamo attraversando. “Ma senza una base politica allargata, questo governo o il prossimo avranno molta poca forza per essere incisivi su dossier che vanno dalla politica energetica, con la costruzione di una filiera dell’idrogeno, fino all’impatto su trasporto pubblico locale; al disegno di una strategia digitale nazionale, con le scelte sul cloud di sistema, il rapporto tra Tim e Open Fiber e le modalità della loro integrazione verticale (o no), lo sviluppo del digitale 5g. E inoltre una riforma delle politiche attive del mercato del lavoro, dei sistemi formativi ‘lifelong’, e dunque del settore scolastico. Vedo barricate ovunque di vari gruppi di interesse rispetto a cui il governo non sembra avere la capacità o la forza di imporsi”. Eppure solo puntando su questi temi il prestito contratto dal paese attraverso il Recovery o altre fonti, diventa sostenibile.
Nodo governance e progetti vecchi
Intanto, la bozza del Pnrr approvata il 12 gennaio è stata mandata a Bruxelles: entro aprile si avrà il documento definitivo. Gli altri due temi su cui la trattativa italiana con Commissione e Consiglio si giocherà, secondo Altomonte, sono la governance e i 66 miliardi destinati a progetti già avviati. “La questione della gestione dei fondi è stata al momento rimandata: il governo presenterà una proposta al Parlamento in cui sarà definito anche il capitolo vigilanza. Si tratta di un tema delicato perché potrebbero essere coinvolte nel sistema Corte dei Conti e Anti riciclaggio che dovranno effettuare i controlli prima dell’Ue”. Infine, a Bruxelles non piacerà il fatto che quasi un terzo dei 209 miliardi messi a disposizione dell’Italia vadano a finanziare iniziative già avviate e in cantiere. “Non è detto che in Europa passi, in quanto il Recovery Fund deve servire a fornire la struttura per riprendere la strada della crescita resa impossibile dal Covid, non a finanziare progetti che dovevano avere coperture diverse e su cui aleggia lo spettro della solita logica di breve termine e delle mance elettorali”.
Oltre 450 miliardi a disposizione per il rilancio
Ed è un errore madornale: il Recovery serve a finanziarie spese straordinarie che vanno improntate alla possibilità di restituirle. Anche perché tutti i prestiti – erogati ad avanzamento lavori su un periodo di sei anni – sono vincolati all’impegno di tenere in ordine i saldi di finanza pubblica. “È la stessa condizionalità richiesta per il Mes speciale attivato a marzo per far fronte alla pandemia: il governo italiano ha scelto di no attivare quelle linee del Mes e su questa scelta si è innestata la crisi. Purtroppo anche su questo è evidentemente il predominio del fattore ideologico su ciò che è giusto per il Paese”. Paese che se ai 209 miliardi del Recovery Plan aggiungiamo i fondi del Mes sanitario, Fondi Bei, Fondi Sure e Fondi strutturali, avrebbe a disposizione 450 miliardi per rinascere post Covid. Non è un tema di risorse, non lo è mai stato. Ma di capacità del nostro Paese si usarle e usarle in maniera efficace.