Tutto è nato nel 1980 con l’intuizione di Deng Xiaoping: “Un paese, due sistemi”
Hong Kong è la principale piattaforma operativa per le aziende italiane e straniere attive in Asia. Secondo le recenti statistiche pubblicate dalla Fondazione Italia Cina, capitali italiani sono presenti in 400 aziende di Hong Kong con 20mila addetti e un giro d’affari complessivo di 8,7 miliardi di euro
Un Paese, due sistemi. Questa la formula vincente, l’espressione con cui nel 1980 Deng Xiaoping anticipava con lungimiranza il ritorno della “tigre asiatica” nella madrepatria, ha fatto crescere e prosperare Hong Kong. Negli anni la città ha avuto la forza di affermarsi come hub globale, la porta d’ingresso per tutti gli scambi tra oriente e occidente. Due dati, ricavati dall’ultimo rapporto della fondazione Italia-Cina, sono sufficienti a comprenderne l’importanza. Nella classifica mondiale degli investimenti diretti esteri Hong Kong si posiziona al quarto posto. Nel 2018 sono affluiti nella città-stato capitali esteri per 112 miliardi di dollari. Allo stesso tempo Hong Kong è anche il principale fornitore (con 86 miliardi di dollari) di capitali esteri in Cina. Più che la porta verso l’Asia sembra svolgere piuttosto il ruolo di una membrana che agevola gli scambi tra i due mondi. Secondo l’Index of economic freedom della Heritage Foundation, l’area rimane l’economia più libera al mondo. Hong Kong ha infatti una burocrazia agile ed efficiente, regole certe e una tassazione agevolata. L’adozione, inoltre, di metodi internazionali negli affari, la diffusione della lingua inglese e l’ambiente favorevole all’innovazione tecnologica assicurano continue opportunità negli scambi, negli investimenti e nel recluta- mento di personale qualificato.
“Tutte queste caratteristiche contribuiscono a rendere il mercato di Hong Kong molto appetibile per gli investitori stranieri” sottolinea info MercatiEsteri (sito della Farnesina). Il Paese si è infatti guadagnato la posizione di principale centro finanziario asiatico e globale, anche grazie al solido contesto regolamentare.
Il settore bancario controlla i due terzi degli asset totali del sistema, è fortemente concentrato e presenta una struttura quasi oligopolistica, ben rappresentata dal colosso di Hsbc. La qualità degli asset e la redditività sono elevati. A Hong Kong il credito è allocato rigorosamente a condizioni di mercato ed è concesso a residenti e investitori stranieri senza alcuna discriminazione. I soggetti privati hanno accesso all’intera offerta di strumenti di credito predisposta dal sistema bancario e finanziario locale. La Hong Kong Monetary Authority (Hkma) di fatto agisce come una banca centrale. Ed è responsabile dell’emissione della valuta e supervisiona l’intero sistema bancario e finanziario di Hong Kong al fine di garantirne la stabilità e l’affidabilità. La Hkma, con la cooperazione degli operatori del settore bancario, ha profondamente innovato l’infrastruttura del mercato finanziario di Hong Kong. L’introduzione del sistema di Real Time Gross Settlement (sistema di regolamento in cui le istruzioni di trasferimento di fondi e il regola- mento finale avvengono per ogni singola transazione in tempo reale nello stesso giorno di input) contribuisce ad una più efficace gestione e minimizzazione dei rischi nel sistema dei pagamenti e porta Hong Kong in linea con le best practice internazionali.
Le nuove sfide
Ma il paese è al centro di nuove sfide soprattutto rappresentate dalla volontà della Cina di rafforzare i legami con l’ex protettorato britannico. È una determinazione plasticamente rappresentata dal grande ponte che unisce Hong Kong a Zhuhai e Macao. Inaugurato nel 2018, frutto di un investimento di 15 miliardi di dollari, è il più lungo collegamento via mare al mondo (55Km). L’infrastruttura si collega idealmente al grande progetto di sviluppo economico della Greather by area, con cui la Cina vuole creare una silicon valley globale in grado di competere con quella americana. Il progetto include tre poli fondamentali per l’economia cinese, rappresentati da Macao, Shenzen e Hong Kong. E, poiché gli investimenti tecnologici verranno concentrati nell’aerea di Shenzen, Hong Kong (considerato soprattutto un hub finanziario) teme di perdere posizioni a favore delle città continentali della Greather by area. Ma i legami che rendono più sospettosi i cittadini della tigre asiatica sono quelli politici.
È ancora recente l’eco delle proteste che dall’inizio di giugno hanno scosso la vita della città-stato con migliaia di manifestati scesi in piazza contro le ingerenze di Pechino alla propria autonomia. I disordini, proseguiti con forza anche a fine settembre in occasione del 70° anniversario del Partito comunista cinese, stanno avendo effetti negativi anche sul tessuto della città. Alcune famiglie ad alto reddito hanno infatti iniziato le pratiche per lasciare Hong Kong. La destinazione finale scelta è l’Europa e più in particolare il Portogallo o la Svizzera, paesi con una giurisdizione fiscale agevolata. Questo interesse per l’Ue è testimoniato dalla crescente richiesta di visti d’oro (stati Ue che offrono il passaporto in cambio di investimenti nell’economia del paese). Ma forse si tratta soltanto di un temporale estivo.
“Hong Kong ha affrontato e superato importanti sfide ogni decennio dalla fine delle seconda guerra mondiale – ha dichiarato Carrie Lam, Capo esecutivo di Hong Kong, al NY Times – I disordini di questa estate sono un altro processo di trasformazione. Ferite pro- fonde sono state riaperte nella nostra società. Ci vorrà tempo per guarire. Rimane però la speranza, di questo governo, che la conversazione trionferà sul conflitto”.
Hong Kong e Italia
Hong Kong è la principale piattaforma operativa per le aziende italiane e straniere attive in Asia. Secondo le recenti statistiche pubblicate dalla Fondazione Italia Cina, capitali italiani sono presenti in 400 aziende di Hong Kong con 20mila addetti ed un giro d’affari complessivo di 8,7 miliardi di euro. Nel numero sono compresi le rappresentanze delle maggiori banche italiane (Intesa Sanpaolo e Unicredit), grandi marchi di moda, perfino importanti studi legali (Gianni, Origoni e Grippo).
Le stime sulla crescita delle start-up confermano l’elevato potenziale del settore tecnologico ad Hong Kong, in un’ottica di cooperazione bilaterale con l’Italia. E’ alla luce di queste considerazioni che nel 2017 è stato lanciato “Startit.asia”, programma che ha l’obiettivo di sfruttare la piattaforma di Hong Kong per favorire il processo di espansione in Asia di start-up italiane con un elevato potenziale di crescita e alta innovazione. L’interscambio commerciale rimane naturalmente una componente fondamentale nelle relazioni economiche tra Italia e Hong Kong.
Circa la metà dell’export italiano, verso Hong Kong, viene riesportato nei mercati limitrofi, a cominciare dalla Repubblica popolate cinese (si concentra quasi il 60% delle riesportazioni italiane), seguita da Macao, Corea del Sud, Taiwan, Singapore e Giappone. Sul fronte opposto capitali di Hong Kong sono presenti in 133 imprese italiane con 12.800 dipendenti e un giro d’affari di 7,7 miliardi di euro. Insomma la tigre asiatica continua a svolgere con efficienza il ruolo di inter- connessione tra mondi diversi. E il motto di Deng (“un paese, due sistemi”) rimane quantomai attuale anche per il futuro.