Si entra, evidentemente, nella prospettiva di traslare sui risparmiatori rischi invece propri degli intermediari e degli operatori professionali, in un’ottica di commistioni di piani e di ruoli e di venuta meno dell’identificazione, quanto a tutela, tra investitori e risparmiatori.
I risparmiatori diventerebbero evidentemente investitori come tutti gli altri – come in modo incredibile e surreale declamato dall’ex presidente Consob, Mario Nava, che addirittura è arrivato ad affermare, in una sorta di crescendo rossiniano, che i risparmiatori quando investono perdono la loro qualifica, vale a dire che gli investitori non sono risparmiatori, con la conseguenza di non meritare una tutela peculiare.
Si registra così un gigantesco passo indietro rispetto alla disciplina del Tuf, per l’appunto finalizzato a tutelare gli investitori come risparmiatori.
Ma non solo: i tassi bassi e addirittura negativi spingono a innalzare i rischi per ottenere risultati soddisfacenti. Di qui la necessità di incentivare l’offerta di prodotti rischiosi ai risparmiatori da parte degli intermediari autorizzati: e così si spiegano fondi speculativi e rischiosi – sulla base di specifiche normative introdotte “ad hoc” di recente – rivolti alla clientela a dettaglio e non più solo ai clienti istituzionali.
Con la tipizzazione non si confina il fenomeno nell’eccezionale, consistente nella tassatività delle forme tipiche, ma all’esatto contrario si rendono tali forme meritevoli di tutela e così adatte ai risparmiatori, istituzionalizzando la sovrapposizione di ruoli e lo snaturamento della tutela dei risparmiatori.
Con lo spettro dell’inflazione, e con il rialzo dei tassi nominali, il fenomeno acquisirà veste diversa, vista la realtà diversa che caratterizzerà il mercato monetario e i mercati finanziari, ma la situazione non cambierà: i rendimenti dei prodotti dal rischio contenuto continueranno a essere non soddisfacenti. E così il fenomeno qui esaminato continuerà a rivelarsi in ascesa.
Il fenomeno, ciò nonostante, riceve comunemente una valutazione in termini di coerenza, a livello solo macro-economico, con l’andamento dei mercati e con le loro tendenze, senza che ci si ponga assolutamente il problema qui sollevato, di una differenza strutturale e intrinseca dei risparmiatori rispetto agli altri investitori.
E così, da ultimissimo, si prende atto con naturalezza dell’elaborazione di strumenti derivati su strumenti ludici, il che realizza nient’altro che la duplicazione di forme speculative: la speculazione sul gioco non si può spiegare altrimenti che come incarnazione paradossale e grottesca dell’illimitatezza della speculazione.
Esattamente nello stesso senso, le criptovalute sono presentate quali monete, ma senza copertura e pertanto da assimilare a strumenti finanziari, in una sorta di sovrapposizione tra moneta e finanza denunziata con vigore da pochi, tra cui l’attuale presidente Consob, Paolo Savona: ebbene, tale denunzia non arriva a sfociare nella statuizione della loro illiceità, pur del tutto eclatante.
In sintesi, la tipizzazione viene totalmente travisata e pertanto si presentano sul mercato prodotti e servizi tipici, ma con caratteristiche diverse da quelle proprie della natura dei prodotti e dei servizi: e tali caratteristiche diverse sono a loro volta valutate quali non incompatibili con la forma tipica, in modo da istituzionalizzare il travisamento della stessa tipizzazione.
Il tutto, mentre vi è la moltiplicazione dei rischi, con il ruolo centrale rivestito dalla speculazione. È evidente che la tutela dei risparmiatori diventa aleatoria, proprio perché la natura del prodotto e del servizio è svincolata dal rischio effettivo, in virtù non tanto di utilizzo fraudolento della forma tipica, quanto piuttosto dell’annullamento delle specificità dei risparmiatori rispetto agli altri investitori, al quale fa seguito lo speculare eliminazione di qualsivoglia controllo qualitativo sui prodotti e sui rischi, il che rende la forma tipica utilizzabile liberamente – e pertanto lecitamente – per scopi molteplici e disparati, anche per quelli che nulla hanno a che fare con le esigenze dei risparmiatori.
Il punto nevralgico è che l’utilizzo libero della forma tipica per obiettivi disparati, anche incompatibili con le esigenze dei risparmiatori, è lecito non per valutazione espressa ma per rinuncia a effettuare qualsivoglia valutazione, ritenuta estranea alla normativa. Ciò a fronte di un generale e spropositato innalzamento del rischio, di cui si legittima la totale mancanza di controlli. È il cane che si morde la coda.
Ebbene: il controllo qualitativo su prodotti e rischi è necessario per impedire la traslazione su soggetti con esigenze opposte quali i risparmiatori di rischi abnormi e impropri e così per evitare distorsioni nella ripartizione e nell’allocazione dei rischi; d’altro canto, la soglia massima quantitativa di speculazione è parimenti necessaria per impedire che l’economia sia alterata e deviata.
In poche parole: senza soglia massima non si impedisce che la speculazione inquini e devii l’economia, mentre senza controlli qualitativi il dinamismo diventa mera maschera della speculazione più sfrenata. Controlli monetari e controlli della finanza sono tra di loro indissolubilmente legati, come recentemente enucleato dal presidente Consob, Paolo Savona, ma non solo per impedire che l’abusivismo venga legalizzato (come pur meritoriamente perseguito da Savona), bensì per assicurare che il dinamismo sia non arbitrario.
Ebbene, l’arbitrarietà sussiste ogniqualvolta il risparmio diventa un fattore di investimento come tutti gli altri e senza una tutela peculiare: proprio ciò trascina la speculazione più selvaggia oltre ogni limite. Non è più solo il cane che si morde la coda, ma ben più radicalmente è la mancanza di collegamento tra controlli qualitativi e controlli quantitativi che crea un meccanismo allo stesso tempo rovinoso ed illecito.
Economisti e giuristi devono trovare un solido terreno di dialogo prima e d’intesa poi.