Alcune delle imprese già in difficoltà prima della crisi e che presumibilmente sarebbero fallite nel corso dell’anno, potrebbero essere sopravvissute grazie alle misure di sostegno
Qualora le difficoltà di tali aziende rivelino una natura strutturale, è possibile che si tratti solo di fallimenti rimandati nel tempo
Le imprese a rischio potrebbero aumentare di circa 6.500 unità nei prossimi due anni (quasi il 60% di quelle stimate nel 2019)
Bisogna considerare, tuttavia, che il numero di fallimenti registrati nell’ultimo anno risulta inferiore di circa un terzo rispetto al 2019 (quando se ne contavano circa 11mila). Una differenza legata, secondo i ricercatori, a due fattori principali. “In primo luogo, vi hanno contribuito la moratoria sui fallimenti (in vigore da inizio marzo a fine giugno) e il rallentamento generale dell’attività nei tribunali in conseguenza delle misure di contenimento della pandemia”, spiegano. In secondo luogo, alcune delle imprese già in difficoltà prima della crisi “e che presumibilmente sarebbero fallite in corso d’anno, potrebbero essere sopravvissute grazie alle misure di sostegno economico”. Ma potrebbe trattarsi solo di una situazione temporanea: “qualora le difficoltà di tali imprese abbiano natura strutturale”, precisano i ricercatori, “è possibile che si tratti solo di fallimenti rimandati nel tempo”.
Ma si tratta di numeri che vanno interpretati “con grande cautela”, avvertono i ricercatori. Questo perché l’elasticità dei fallimenti al ciclo economico potrebbe essere stata sottostimata “per la presenza di non-linearità dovute alla caduta eccezionale del pil”. Ma anche sovrastimata, in quanto non considera i possibili interventi del governo o il dispiegamento di risorse superiori alle attese. Per non dimenticare poi “i meccanismi di aggiustamento e di potenziali esternalità che lo shock economico in un’area potrebbe produrre su altre aree a essa connesse, attraverso relazioni produttive”, concludono.