Emergenza clima in Europa: giù il pil del 10% nello scenario peggiore

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La Bce torna a lanciare l’allarme sull’emergenza clima. Auspicata un’azione tempestiva a favore di un’economia a zero emissioni. Italia tra i Paesi più a rischio

La Banca centrale europea ha simulato il potenziale impatto del cambiamento climatico su 4 milioni di aziende e 1.600 banche nei prossimi 30 anni

“I costi a breve termine della transizione impallidiscono di fronte ai costi del cambiamento climatico. Previsti benefici anche in termini di investimenti”

Il climate change è una delle più grandi sfide del secolo in corso. Una sfida che, se lasciata alla deriva, rischia di tradursi in eventi climatici più frequenti e gravi, in grado di travolgere economie, imprese e mezzi di sussistenza. E, nello scenario peggiore, di abbattere del 10% il pil europeo e far impennare del 30% le insolvenze aziendali. A lanciare l’allarme è la Banca centrale europea che, nel suo primo “stress test climatico”, ha simulato il potenziale impatto del climate change su 4 milioni di aziende e 1.600 banche in Europa nei prossimi 30 anni. Ricordando come i costi a breve termine della transizione green impallidiscono di fronte ai costi di un mancato intervento a medio e lungo termine. E che, al contrario, un’adozione “tempestiva di politiche che guidino il cammino verso un’economia a zero emissioni” porta con sé anche “benefici in termini di investimenti e tecnologie più efficienti”.
L’allarme di Francoforte parte dalla distinzione di due categorie di rischi climatici che hanno il potenziale di destabilizzare la fornitura di servizi da parte delle istituzioni finanziarie e il regolare funzionamento dei mercati, con effetti a catena per l’economia reale. In primis, il rischio di transizione, che si riferisce all’impatto negativo che l’introduzione di politiche climatiche per ridurre le emissioni di Co2 potrebbe avere su alcune imprese ad alte emissioni (come le industrie che dipendono fortemente da risorse non rinnovabili o altamente inquinanti, che potrebbero dover affrontare un forte calo dei profitti e un’impennata dei costi di produzione). Poi, c’è il rischio fisico, che si riferisce invece all’impatto economico derivante dal previsto incremento della frequenza e dell’entità dei disastri naturali e che potrebbe causare un’interruzione dei processi produttivi nel breve termine e fallimenti aziendali nel lungo termine.

Italia tra i Paesi più a rischio

Quanto al rischio fisico, rivela la Bce, i paesi del Nord e del Centro Europa vantano una quota di imprese ad alta emissione compresa tra il 20 e il 50%. Ma la loro quota di esposizioni verso imprese ad alto rischio fisico resta limitata e, nella maggior parte dei casi, ruota intorno al 5%. La maggior parte di queste imprese, infatti, risulta concentrata nel Sud Europa, dove rappresentano una quota compresa tra il 25 e il 100%, con Italia e Spagna sul podio. E il Belpaese non rivela dati incoraggianti neppure sul fronte dell’esposizione al rischio di transizione. Il 10% dei portafogli bancari più inquinanti raccoglie infatti il 30% delle esposizioni complessive dell’area euro e finanzia quasi il 65% delle emissioni totali; e guardando alla composizione geografica di questi portafogli, un terzo risulta localizzato proprio in Italia, seguito da circa il 50% per Germania e Francia.

I vantaggi dell’agire in anticipo

“Senza politiche a favore della transizione verso un’economia più verde, i rischi fisici aumenteranno nel tempo”, spiega Luis de Guindos, vicepresidente della Bce, al Financial Times. “È essenziale effettuare una transizione precoce e graduale, in modo da mitigare sia i costi stessi della transizione sia l’impatto futuro dei disastri naturali”, avverte. Come scrive infine Francoforte, i risultati dello stress test climatico mostrano “chiari vantaggi nell’agire in anticipo” anche in termini di investimenti e di sviluppo di tecnologie più efficienti. Se ciò non dovesse accadere, invece, i rischi fisici aumenteranno e “lo faranno in modo non lineare e duraturo”.

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