Gli Stati Uniti, secondo un articolo del Financial Times, potrebbero perdere presto quello che è definito “l’esorbitante privilegio”
Le tensioni sul dollaro sono dovute a un risparmio aggregato che nel secondo trimestre è arrivato a essere addirittura negativo (-1,2% del Pil) e a un deficit previsto per quest’anno del 18% del Pil
Secondo Francesco Daveri, professore di economia all’università Bocconi, a venire in soccorso del dollaro ci potrebbe essere l’Europa
L’esorbitante privilegio
We Wealth ha chiesto a Francesco Daveri, professore in macroeconimcs all’università Bocconi, di fare chiarezza sul concetto di privilegio esorbitante. “Con questo termine si intende il fatto che il dollaro è la cosiddetta valuta di riserva prevalente nelle transazioni internazionali. Per questo il suo valore è in larga parte determinato dalla costante domanda estera anche a dispetto dei fondamentali dell’economia americana”, afferma Daveri. In altre parole gli Stati Uniti hanno una garanzia di stabilità valutaria. Ma in cosa consiste il privilegio di avere una valuta meno soggetta a movimenti di valore? “La domanda di dollari inelastica rispetto ai differenziali di tassi, in quanto vi è una preferenza di detenere dollari (valuta rifugio e di riserva), permette agli Stati Uniti di mantenere i tassi bassi stimolando l’economia, senza che ciò comporti un deflusso di capitali. Il risultato è la continua possibilità per gli Stati Uniti di finanziare il deficit attingendo al mercato dei capitali esteri a un costo molto contenuto”, afferma Doveri.
Risparmio e deficit
Secondo Stephen Roach, economista di fama internazionale associato alla Yale University, in un articolo scritto per il Financial Times, sostiene, avvalendosi di numeri precisi, che il dollaro si potrebbe deprezzare del 35% entro la fine del 2021. I fattori che gravano su questa valutazione sono due: il declino del risparmio domestico e l’aumento del deficit fiscale. Nel secondo trimestre del 2020 il risparmio netto, ovvero quanto risparmiato complessivamente da famiglie, imprese e governo, è entrato in territorio negativo per la prima volta dalla crisi finanziaria del 2008. Il rapporto risparmio/pil ha conosciuto il più consistente declino trimestrale dal 1947, passando dal 2,9% al -1,2% del Pil. In questo contesto il governo degli Stati Uniti ha fatto leva sul suo privilegio per prendere a prestito quanto necessario per finanziare la spesa. Il risultato è stato un aumento del deficit nel secondo trimestre del 1,4% portando il rapporto deficit/Pil al -3,5%.
Trend di lungo periodo
Tuttavia la situazione pandemica ha solo aggravato un trend che ad ogni modo è in atto da anni. Il risparmio medio nella decade appena passata è stato del 2,9% del Pil, decisamente inferiore al 7% medio nel periodo 1960-2005. La bilancia dei pagamenti invece versa in una situazione di deficit da metà anni ottanta. C’è pero una diversità rispetto al passato. Raffrontando la situazione attuale al deprezzamento degli anni ottanta e del primo decennio del nuovo milennio, il quadro è ben diverso. Allora i risparmi erano in territorio positivo e il deficit più contenuto, rispettivamente in media al 4,9% e al -2,5% del Pil.
L’Europa viene in soccorso del dollaro
“Anche alla luce di questi dati si inizia a ragionare sul fatto che si possa andare verso la fine di questo privilegio. Tuttavia, a mio avviso, è prematuro dire che quest’esito sia ormai prossimo. Sul valore del dollaro infatti incidono anche le politiche monetarie portate avanti dagli altri paesi. Al momento sembra esserci in atto una currency war, ovvero una gara tra le principali economie del mondo, al fine di mantenere un equilibrio sul mercato valutario” afferma Daveri che conclude: “La stessa Lagarde è pronta ad aumentare la liquidità sui mercati finanziari. Un apprezzamento troppo repentino dell’euro, se da un lato potrebbe assicurare maggiori capitali, dall’altra potrebbe compromettere la competitività dell’Eurozona e frenare la ripresa.”