Con l’apertura del nuovo Congresso del partito Comunista cinese, il 16 ottobre, si sono fatte largo alcune ipotesi su un possibile mutamento politico, in grado di invertire la rotta del Paese su alcuni costosi errori
Molta attenzione verrà riposta alla figura che, il prossimo marzo sostituirà l’attuale capo del governo Li Keqiang. Una figura non troppo legata a Xi potrebbe far pensare a un minor supporto attorno all’attuale linea del presidente
Al di là degli orientamenti politici, è importante notare come l’abbandono dei lockdown per la Cina potrebbe essere molto più rischioso di quanto si pensi, sul piano sanitario
Nel settembre 2021 il veterano degli investimenti George Soros aveva fatto parlare sé definendo come “un tragico errore riversare miliardi di dollari sulla Cina adesso“. Anche se all’epoca BlackRock, il principale bersaglio della critica, difese le sue scommesse, un anno dopo le analisi di Soros si sono rivelate per molti versi corrette. Non solo la guerra in Ucraina e il sostegno cinese alla Russia hanno mostrato nuove ambiguità da parte di Pechino. Anche le politiche di gestione del Covid ancora focalizzate sui lockdown stanno costando un prezzo molto elevato in termini economici.
Il Fmi prevede che il Paese crescerà del 3,2% nel 2022, un livello storicamente basso per la Cina moderna, il peggiore nel nuovo millennio ad eccezione del 2020.
Inoltre, l’azionario cinese, dai tempi delle dichiarazioni di Soros, avrebbe protetto ben poco portafoglio. Negli ultimi 12 mesi lo Shanghai Composite Index ha realizzato una performance negativa paragonabile a quella dell’S&P 500 americano (con un calo superiore al 15%, al 14 ottobre) e peggiore dell’Euronext 100 (-12,3%).
“Dopo un 2021 negativo, il 2022 ha visto una decisa accelerazione al ribasso con i listini cinesi in territorio di bear market (MSCI China -22,5%, SSE Composite Index -16,96% e l’Hang Seng -29%)”, ha dichiatato a We Wealth Gabriel Debach, market analyst di eToro. Ad aver pesato sono state “la stretta politica di Pechino, le tensioni con gli Stati Uniti, tra divieti e dazi, la riduzione dei consumi cinesi (tra i vari lockdown) e la bolla sul real estate (testimoniata dalla crisi Evergrande)”.
Speranze (poche) di cambiamento: il Congresso
Con l’apertura del nuovo Congresso del partito Comunista cinese, il 16 ottobre, si sono fatte largo alcune ipotesi su un possibile mutamento politico, in grado di invertire la rotta del Paese su alcuni costosi errori. I lavori si terranno a porte chiuse e la riservatezza che avvolge gli equilibri di potere del partito consentono solo alcune ipotesi su quello che accadrà. Finora, nessun segnale fa pensare che il presidente Xi Jinping perderà anche solo un pezzo del suo controllo.
Presso la Grande camera del Popolo di Pechino, il Congresso chiamerà circa 2.300 delegati del partito a votare il nuovo Comitato centrale: 370 membri che vedono al loro interno i massimi gradi dell’imprenditoria di Stato e alti funzionari. L’elezione è quasi interamente pilotata, poiché il numero dei candidati eccede i posti disponibili appena dell’8%. Nessuno crede che Xi Jinping potrà mai ritrovarsi fra gli esclusi. Secondo Debach, “l’attenzione si concentrerà sull’evoluzione della composizione del Comitato permanente dell’ufficio politico del Partito Comunista Cinese, composto da sette membri, e sullo spazio per una modesta svolta economica orientata alla crescita”.
La speranza di alcuni, in particolare, è che alcuni cambiamenti potrebbero osservarsi nella gestione dei lockdown.
Dal XX Congresso potrebbero “emergere i primi segnali sulla direzione che la
Cina intenderà prendere, ma servirà ancora tempo per capire se il governo proseguirà la politica di tolleranza zero verso il Covid oppure se la crescita tornerà ad essere la stella polare della Cina”, ha scritto in una nota Marco Mencini, Senior Portfolio Manager Equity di Plenisfer Investments, “un chiaro cambio di rotta renderebbe, a nostro avviso, attrattivo il mercato cinese non solo alla luce di valutazioni particolarmente interessanti, ma anche di un ciclo economico e di politiche monetarie, oltre che fiscali, in controtendenza rispetto all’occidente”.
“Con un P/E a 9,81x (rispetto al 18,07 statunitense) la Cina potrebbe offrire buone opportunità per gli investitori alla ricerca di occasioni e diversificazione: la Cina continua ad avere un controllo maggiore sulle proprie sorti rispetto agli altri Paesi, con la sua strategia autoimposta di zero covid, la bassa inflazione, i tassi di interesse reali positivi e la flessibilità fiscale”, ha affermato Debach, “ma deve anche affrontare sfide politiche uniche, dal settore immobiliare sovradimensionato ai venti demografici, fino al rallentamento della domanda globale di beni”.
Il segnale sul nuovo premier
Molta attenzione verrà riposta alla figura che, il prossimo marzo sostituirà l’attuale capo del governo Li Keqiang. Una figura non troppo legata a Xi potrebbe far pensare a un minor supporto attorno all’attuale linea del presidente. Il Congresso potrebbe dare un’indicazione sul successore e tre sarebbero i nomi più probabili per l’incarico. Quello più vicino a Xi sarebbe Han Zheng, uno dei vice di Li Keqiang, il quale, però, avrebbe già oltrepassato le regole non scritte sui limiti di età (ha 68 anni). Un altro vice di Li, Hu Chunhua e un altro membro del Comitato, Wang Yang, potrebbero essere due candidati non troppo vicini al presidente Xi.
Che questo ricambio, anche verso le ultime due figure, possa realmente incidere sulle politiche sanitarie è, però, tutto da vedere. Non solo perché l’attuale premier Li Keqiang già non appartiene alla cerchia di Xi. Ma, soprattutto, perché gli organi di propaganda come il Quotidiano del Popolo, che danno un’idea degli orientamenti del presidente, hanno continuato anche in tempi recenti a difendere la linea Zero Covid, definendo la lotta contro il virus come “una prova dello spirito… una gara di forza e una gara di volontà” di fronte alla quale, si affermava, “non vacilleremo”.
Zero Covid, un addio improbabile
Al di là degli orientamenti politici, è importante notare come l’abbandono dei lockdown per la Cina potrebbe essere molto più rischioso di quanto si pensi, sul piano sanitario. Le dosi di richiamo somministrate alla popolazione sono state relativamente poche e i più efficaci vaccini a mRna, di fabbricazione straniera, non sono stati autorizzati nel Paese.
Lo scorso settembre avevano ricevuto la terza dose due terzi della popolazione over 60. Secondo quanto affermato il mese scorso dal Chinese Center for Disease Control, l’autorità nazionale che si occupa del controllo sanitario sulle epidemie, le restrizioni anti-covid potrebbero essere rimosse senza il rischio di intasare il sistema ospedaliero solo se la quarta dose venisse somministrata alla popolazione.
Il problema, dunque, è che il governo cinese teme che il costo in termini di vite umane, ad oggi necessario per rimuovere la Zero Covid, sarebbe politicamente inaccettabile dopo aver propagandato per mesi la priorità della salute sull’economia (al contrario di quanto avrebbero fatto i Paesi occidentali). “Se aprono ora, ci sarà subito un’epidemia grave”, ha affermato al Washington Post il virologo dell’Università di Hong Kong, Jim Dongyan, per il quale, però, la politica dei lockdown “non è sostebibile”.
“Hanno valutato in modo sbagliato la situazione nel mondo e ora non possono uscire dalla loro zona di comfort”.