Il confronto tra Boris Johnson e Ursula Von der Layen ha portato ad un nulla di fatto. Dal 1 gennaio, accordo o non accordo, il Regno Unito sarà fuori dall’Unione Europea
Secondo Richard Flax, chief investment officer di Moneyfarm, lo stallo è dovuto ad un Regno Unito che troppo vuole, ed all’Unione Europea che non vuole creare precedenti. La conseguenze di un no deal sarebbero pesanti per il commercio ed intere filiere
Secondo invece Enrico Vaccari, responsabile clientela istituzionale di Consultinvest, che sia deal o no deal non cambierà molto per i mercati soprattutto nel medio-lungo termine. La ripartenza è il vero tema e in questo senso l’Inghilterra potrebbe essere in pole position
L’Europa non vuole creare precedenti, Johnson ha bisogno di consensi
Secondo Richard Flax, chief investment officer di Moneyfarm ed Enrico Vaccari, responsabile clientela istituzionale di Consultinvest, il motivo per cui non si è ancora trovato un accordo non è economico. Al fondo delle questioni ancora da risolvere (regolamentazione della pesca, aiuti di Stato e il meccanismo di risoluzione delle controversie) si cela infatti una forte tensione politica. “ll Regno Unito vorrebbe mantenere il maggior numero possibile di privilegi che l’Ue garantisce ai suoi membri e, al contempo, avere la massima libertà di decidere le proprie norme e regolamentazioni. D’altro canto, l’Ue vuole assicurarsi che far parte del club abbia un valore e che, quindi, non sia possibile sottrarsi alle responsabilità che questo comporta, mantenendone intatti i benefici”, afferma Flax che spiega anche come l’Europa voglia evitare di creare un precedente a cui altri paesi si potrebbero appellare in futuro. “Inoltre”, osserva Vaccari, “l’Europa oggi è molto più forte e coesa di quanto non lo fosse nel 2016, mentre Johnson, in perdita di consensi, sta giocando su più tavoli: prende tempo con l’Europa, mentre ha avviato per primo la campagna di vaccini, il che potrebbe dare un vantaggio competitivo importante al Regno Unito”.
No deal: sarebbe stato peggio senza il covid
Opinioni in parte contrastanti invece sugli effetti di un hard brexit. Uno scenario senza accordo può portare l’economia britannica in sofferenza, secondo Flax, mentre invece, secondo Vaccari, soprattutto nel più lungo termine, che sia deal o no deal non cambierà molto. “Commercio caratterizzato da tariffe e quote crea enormi disagi nei porti di Calais e Dover ed anche a numerose filiere, soprattutto per piccole e medie imprese manifatturiere e commercianti. Inoltre, la fornitura di beni alimentari, medicinali e prodotti energetici nel Regno Unito potrebbe subire un rallentamento dovuto a colli di bottiglia” spiega Flax. Secondo Vaccari invece, “le imprese sono già abituate ad agire in un mondo estremamente complicato e molto competitivo. Un dazio impatta sulla marginalità nel breve ma viene riassorbito con il tempo. Sarebbe una aggravante ma il driver principale sui bilanci è la ripartenza economica”. Lato mercati ci si può aspettare la stessa dinamica, con una volatilità che si presenterà nel breve, sia sul mercato azionario che su quello dei cambi, ma che non è destinata a perdurare anche alla luce del rinnovato impegno della banca centrale alla stabilità del sistema finanziario. “Il tema per i mercati non è né la brexit né i dazi. Nel 2021 si riaccendono i motori. Chi prima parte avrà un vantaggio competitivo e in questo senso l’Inghilterra è in prima linea” afferma Vaccari che evidenzia che la questione della brexit senza il covid avrebbe avuto un impatto molto più importante sia sui mercati che sull’economia.