La ricerca di State Street rileva che il 66% degli investitori istituzionali ritiene che l’ipotesi ‘no deal’ avrà un impatto negativo sui mercati globali
Un terzo degli istituzionali (31%) prevede “serie implicazioni” da un’uscita del Regno Unito senza accordo
Il 47% degli investitori istituzionali sta cercando di ridurre il rischio di portafoglio in questo periodo, mentre il 23% sta cercando di aumentarlo
Mentre il presidente della Commissione Ue Jean Claude Juncker annuncia “un nuovo grande accordo” tra Regno Unito e Europa – che dovrà superare il voto del Parlamento britannico – e i 27 leader Ue riuniti nel Consiglio europeo hanno approvato l’intesa, State Street Corporation rende noti i risultati della sua ultima ricerca Brexometer, che misura il sentiment degli investitori istituzionali in relazione agli sviluppi sulla Brexit.
Tuttavia, se il Regno Unito raggiungerà un accordo entro il termine stabilito, il 71% degli investitori istituzionali si aspetta un impatto positivo sui mercati. Ma se verrà concordata una proroga che si tradurrà in un’elezione generale e/o in un secondo referendum nel Regno Unito, il 43% degli investitori istituzionali ritiene che i mercati globali reagiranno negativamente alla continua incertezza che questo comporterebbe, rispetto al 32% del campione (meno di un terzo) che pensa il contrario.
“Non sorprende che la Brexit stia avendo un impatto significativo sui mercati globali, e mentre una decisione definitiva è improbabile fino all’ultimo, la stragrande maggioranza dei nostri clienti ha già preso in considerazione gli impatti dei diversi scenari sui loro investimenti e modelli di business”, ha dichiarato Jörg Ambrosius, head of Europe, Middle-East and Africa di State Street.
“Al contrario – ha aggiunto – ora il settore sta cercando di capire se questi contingency plan siano adeguati per affrontare la tempesta della Brexit. Nonostante tutta questa incertezza, continuiamo ad essere ben posizionati rispetto alla Brexit e stiamo focalizzando tutti i nostri sforzi per essere il partner chiave per i nostri clienti”.
Volatilità può far rima con opportunità
Nonostante l’incertezza, il livello di potenziale volatilità nel breve termine potrebbe essere visto come una buona opportunità di investimento: il 14% degli investitori istituzionali prevede di aumentare la propria esposizione agli asset del Regno Unito nei prossimi sei mesi, rispetto al 12% che intende ridurla, con un calo del 7% rispetto al terzo trimestre 2018.
La ricerca rileva inoltre che, come conseguenza della Brexit, gli investitori istituzionali stanno sviluppando una visione del mondo sempre più negativa e avversa al rischio. Il 41% degli intervistati – un aumento dell’11% rispetto al primo trimestre del 2019 e un livello record rispetto alle rilevazioni del sondaggio – esprimono un giudizio negativo sulle prospettive di crescita globale a medio termine (da tre a cinque anni).
Questi risultati contribuiscono a spiegare perché il 47% degli investitori istituzionali sta cercando di ridurre il rischio di portafoglio in questo periodo, rispetto al 23% che sta cercando di aumentarlo. “Il nostro sondaggio Brexometer si è concluso poco prima dell’avvio delle oscillazioni più nette registrate dal sentiment degli ultimi giorni, ma fornisce ancora un’indicazione su come gli investitori potrebbero reagire rispetto ai prossimi sviluppi”, ha detto Michael Metcalfe, head of global macro strategy di State Street Global Markets.
“Come previsto – ha proseguito – gli investitori sono quasi unanimi sul fatto che un accordo sarebbe una buona notizia; questo è particolarmente vero per i mercati globali in generale e per la sterlina, ma leggermente meno per le azioni del Regno Unito. Questo ha senso, considerato il potenziale apprezzamento della sterlina. Un ‘no deal’, al contrario, costituirebbe un significativo declino del sentiment per tutti gli asset”.
“Sebbene nessuno di questi risultati sia particolarmente dirompente, è interessante notare che un ritardo nel processo non sarebbe percepito come particolarmente positivo e questo prova la continua incertezza che Brexit sta causando tra gli investitori. Su questo punto è significativo sottolineare che, alla domanda sulle previsioni in termini di future esposizioni agli asset del Regno Unito, quasi un quinto degli intervistati ha semplicemente risposto di non sapere come comportarsi”, ha concluso Metcalfe.
Brexit ‘disordinata’ una catena di conseguenze negative
Quali sarebbero secondo gli investitori istituzionali le ulteriori conseguenze di un’uscita senza accordo del Regno Unito dall’Unione?
- Più di due terzi (68%) degli investitori istituzionali ritiene che il valore della sterlina nei prossimi tre mesi diminuirebbe se il Regno Unito lasciasse l’Ue il 31 ottobre senza un accordo, mentre il 75% prevede un aumento del valore della valuta in caso di accordo.
- Il numero di investitori istituzionali con prospettive positive per la crescita economica globale è sceso al 28%, con un calo del 4% rispetto al primo trimestre 2019 e del 15% rispetto al terzo trimestre 2018.
- L’11% degli investitori istituzionali ritiene che Brexit avrà un impatto significativo sul proprio modello di business in termini di operatività, in calo dell’11% rispetto al primo trimestre 2019.
- Quasi la metà (47%) degli investitori istituzionali ritiene che gli asset owner diminuiranno il proprio livello di rischio di investimento nei prossimi tre-cinque anni, con un aumento del 7% rispetto al primo trimestre del 2019.
- Il 46% degli intervistati ritiene che il valore dell’azionario nel Regno Unito nei prossimi tre mesi aumenterebbe leggermente in caso di accordo, rispetto al 37% che prevede una significativa diminuzione in assenza di accordo.
“La strada più ovvia attraverso la quale i mercati hanno espresso i propri timori riguardo a Brexit è quella dei mercati valutari”, ha commentato James Binny, global head of currency and head of investments, Ireland di State Street Global Advisors.
“L’andamento della sterlina ha rispecchiato chiaramente le opinioni evidenziate nel nostro Brexometer: la valuta è crollata a causa del flusso di notizie negative, quando un no deal è apparso più probabile, ed è rimbalzata quando le possibilità di un accordo sembravano in aumento”, ha ricordato Binny.
“A volte gli sbalzi di umore hanno portato a mosse esagerate, fornendo opportunità agli investitori a lungo termine, compresi quelli basati nel Regno Unito che hanno usato la debolezza della sterlina per aumentare le coperture congelando i profitti degli investimenti all’estero”, ha concluso il manager.