Da un’articolo del The Economist si evince come l’esposizione delle banche europee alla Russia sia diminuita significativamente dopo l’annessione della Crimea del 2014
Dai dati della Banca dei Regolamenti Internazionali emerge come a settembre le banche italiane e francesi avevano ciascuna 25 miliardi di dollari di esposizione creditizia verso la Russia
Secondo Uilca attualmente il 69,3% dei crediti deteriorati delle banche italiane è costituito da utp (unlikely to pay), ovvero finanziamenti a soggetti che sono in tensione finanziaria
Il 26 gennaio Andrea Orcel, il capo di UniCredit, si è riunito con molti altri dirigenti d’azienda italiani in una videoconferenza con Vladimir Putin. Durante l’incontro il presidente russo avrebbe detto a Orcel e ai suoi colleghi che avrebbero dovuto “sentirsi il più possibile a loro agio sul mercato russo”. Rassicurazioni queste che appena un mese dopo si sarebbero rivelate false. Il 24 febbraio mentre i carrarmati russi sconfinano in Ucraina, le azioni di UniCredit – che ha più di 4.000 dipendenti in Russia – sono infatti crollate di oltre il 13%. Ma l’istituto italiano non è certo l’unico che ha avuto e avrà ripercussioni dalla guerra in Ucraina. A fare il punto è un’analisi del The Economist.
Secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali (bis), alla fine di settembre i prestatori stranieri avevano crediti in sospeso di 121 miliardi di dollari sui mutuatari russi alla fine di settembre. Le banche italiane e francesi avevano ciascuna 25 miliardi di dollari di esposizione creditizia verso la Russia, seguite da quelle austriache con 18 miliardi di dollari. I dati Bis mostrano che lo stock di prestiti esteri alle imprese e alle famiglie russe è cresciuto costantemente per gran parte degli anni 2000, raggiungendo un picco di quasi 275 miliardi di dollari nel 2013. Tuttavia dopo l’annessione della Crimea nel 2014, e le sanzioni che ne sono seguite, molti prestatori stranieri hanno tagliato o ridotto la loro esposizione al paese. Tant’è che ad oggi che le banche occidentali sono significativamente meno esposte alla Russia rispetto a dieci anni fa.
Ad ogni modo man mano che l’America e i suoi alleati introducono sanzioni contro la Russia, questi prestatori subiranno inevitabilmente dei danni collaterali. L’esclusione della Russia dal sistema Swift renderà più difficile per le banche occidentali raccogliere i pagamenti sui loro prestiti, che diventeranno ancora meno sostenibili se l’economia crolla e con essa il valore del rublo, che rispetto al dollaro ha già perso un terzo del suo valore. Le unità di investment-banking potrebbero invece subire perdite sui titoli legati all’economia Russa, mentre il wealth management sarebbero colpite dalle sanzioni sugli oligarchi russi. Insieme a UniCredit, Société Générale e Raiffeisen Bank International sono le banche europee con le maggiori operazioni in Russia. Secondo Moody’s, un’agenzia di rating, la filiale russa di Raiffeisen ha rappresentato il 31% dell’utile consolidato ante imposte della banca nella prima metà del 2021, in calo dal 47% del 2020
I capi delle banche avvertono che un più ampio contagio finanziario, anche se improbabile, non può essere escluso. “Dipenderà dalla gravità del conflitto e dalla gravità della ritorsione”, ha detto recentemente a Reuters Noel Quinn, l’amministratore delegato di Hsbc. Raiffeisen, che ha messo da parte 150 milioni di euro di accantonamenti per le sanzioni e il rischio geopolitico, compresi 46 milioni di euro per la crisi Russia-Ucraina, ha avvertito il 28 febbraio che è ancora troppo presto per sapere quali saranno le ricadute. “Le sanzioni vengono estese quasi ogni giorno”, ha osservato un comunicato ufficiale. “Nessuna valutazione finale può ancora essere data”.
A destare le preoccupazioni, almeno in Italia, più che le sanzioni sono i rincari energetici, che potrebbero mettere in ginocchio diverse imprese e dunque pesare anche sui libri contabili delle banche. È quanto si evince dai dati del Centro Studi Uilca Orietta Guerra, secondo cui c’è il forte rischio di un aumento significativo dell’aumento delle rettifiche sui crediti, come diretta conseguenza dell’aumento delle materie prime. “Pur avendo ridotto i crediti deteriorati nel corso del 2021, le previsioni di una minor crescita economica rispetto a quanto previsto mesi fa rischiano di far crescere ancora gli Npl, costringendo così le banche ad aumentare nuovamente le rettifiche su crediti” spiegano da Ulica. Stando all’analisi, il 69,3% dei crediti deteriorati è costituito da utp (unlikely to pay), ovvero finanziamenti a soggetti che sono in tensione finanziaria, ma non ancora in default.
Da un’articolo del The Economist si evince come l’esposizione delle banche europee alla Russia sia diminuita significativamente dopo l’annessione della Crimea del 2014Dai dati della Banca dei Regolamenti Internazionali emerge come a settembre le banche italiane e francesi avevano ciascuna 25 miliard…