Ignazio Visco durante la conferenza biennale “Stabilità Finanziaria e Regolamentazione” organizzata dall’università Bocconi, ha messo in guardia sulla possibilità che l’epidemia mieti delle vittime anche tra le istituzioni bancarie
Nello scenario peggiore secondo il Fondo Monetario Internazionale entrerebbero in crisi banche per un valore di quasi il 10% del sistema bancario. Nel mentre lo Stoxx 600 banks ha perso il 40% da inizio anno
Secondo Goldman Sachs la spinta dei regolatori per una maggiore concentrazione e il peggioramento dello scenario di operatività sono due buoni motivi per credere che vi sia una ripresa delle operazioni di acquisizione e fusione
La ricetta di Visco: accontentamenti, bad bank e regolamentazione
Durante la conferenza biennale “Stabilità Finanziaria e Regolamentazione” Ignazio Visco ha messo in guardia sulla possibilità che lo shock economico mieterà delle vittime anche tra le banche. Secondo il governatore della Banca d’Italia, data l’incertezza alta e la ripresa ancora debole, sebbene le banche “siano entrate nella crisi con una posizione di capitale e di liquidità più forte rispetto al passato” al probabile aumento delle sofferenze bancarie alcune banche probabilmente non reggeranno. Per evitare una tensione a livello di sistema, secondo Visco, le parole d’ordine sono tre: accantonamenti, bad bank (società veicolo di gestione dei crediti deteriorati) e regolamentazione.
Il primo termine si potrebbe riscrivere secondo il detto “meglio prevenire che curare”. All’aumento della probabilità di sofferenze bancarie l’atteggiamento più saggio da parte delle banche è infatti proprio quello di aumentare la voce in bilancio “accantonamenti”. Ma ciò per alcune potrebbe non bastare innanzi all’ “eredità propria” del covid di un indebitamento ancora più alto. E qui entrano in gioco le istituzioni che, secondo Visco, stanno ragionando sull’idea di bad banks a livello europeo, con anche “la possibilità per investitori privati di partecipare al capitale di queste società”. Infine da un punto di visto regolamentare, si dovrebbe procedere all’armonizzazione delle procedure di liquidazione per gli intermediari di piccole e medie dimensioni e al completamento della creazione di un sostegno al Fondo di risoluzione unico come parte del quadro di gestione delle crisi.
Banche più solide, interventi efficaci e il rischio sistemico
È stato pubblicato oggi il capitolo del “Global Financial Stability Report”, ad opera del Fondo Monetario Internazionale, riguardo all’impatto del covid sulle banche. Secondo il Fmi in aggregato il sistema bancario rimarrà solvibile nei prossimi anni, nonostante vi sia eterogeneità tra le regioni geografiche. La maggiore solidità è il prodotto delle riforme regolamentari intraprese dopo la crisi finanziaria del 2008. Le banche analizzate nello studio, all’alba della crisi finanziaria globale avevano un CET1 (indicatore di solidità patrimoniale) di 11.9 molto inferiore al 16.2 del 2019. Stando ai dati riportati da Brunella Bruno ed Elena Carlatti, due professoresse della Bocconi, in un articolo per lavoce.info, anche l’esposizione ai Npl delle banche europee è migliorata. All’indomani della crisi del debito sovrano il volume di prestiti deteriorati nel bilancio delle banche nell’area euro era circa 1 trilione, pari a oltre il 9 per cento del relativo Pil. A marzo del 2019 tale volume si è ridotto a 600 miliardi.
Dalla moratoria, al divieto di pagamento dei dividendi passando per le garanzie pubbliche le risposte delle autorità sono state molte alla crisi di quest’anno. Rimane tuttavia un numero di istituti la cui solvibilità potrebbe essere messa in discussione e tra di esse ci potrebbe essere anche qualche banca sistemica. L’entità di questo gruppo dipenderà dalla persistenza della crisi. In uno scenario avverso le banche che non riuscirebbero a rispettare i requisiti minimi di capitale, rappresenterebbero l’8,3% del sistema finanziario, per un totale di 220 miliardi. 14% e 420 miliardi di dollari sono invece i numeri analoghi che si avrebbero in uno scenario in cui le autorità non fossero intervenute.
Il divieto di pagamento dei dividendi e i titoli bancari
Seppur fatto a fin di bene il divieto di pagamento dei dividendi imposto dalla Bce alle banche europee non rende del tutto felici gli istituti bancari. Zero dividendi non sono certo una fonte d’attrazione per gli investitori. Il rischio è dunque che se il divieto dovesse proseguire oltre la fine dell’anno i titoli potrebbero risentire ancor di più quanto già non soffrano. Dall’inizio dell’epidemia, il settore delle banche europee (Stoxx 600 banks) ha perso circa il 40% del suo valore, contro il 12% dello Stoxx 600, indice comprensivo anche degli altri settori. Forte calo che si traduce in un valore di mercato delle banche pari al 40% di quello contabile. In questo contesto secondo la Federazione bancaria europea i dividendi bancari sono scesi dell’89%, il doppio rispetto a quello di altre società.
I due motivi per credere nel ritorno delle operazioni di M&A
Tra resilienza, per via delle migliorie regolamentari, e sgomento, per i corsi borsistici nonché per il probabile aumento delle sofferenze in bilancio, potrebbe tornare in auge il tema delle acquisizioni. I regolatori sembrerebbero infatti essere dell’assioma “maggiore concentrazione, maggiore stabilità”. Proprio questo, secondo il report “M&A: The Need to Rationalites Through Consolidation, in a Buyers Market” di Goldman Sachs, è uno dei due motivi per credere che il 2020 sia l’anno buono per una ripresa convinta delle operazioni di M&A. Dopo 12 anni di assenza di operazioni significative da inizio anno si sono definite due operazioni importanti: l’acquisizione di Ubi banca da parte di Intesa SanPaolo e la fusione tra le spagnole CaixaBank e Bankia. Inoltre delle 32 banche analizzate dallo studio 20 sono state oggetto di speculazione mediatica. Questo fervore giornalistico è in parte conseguenza del secondo motivo. Secondo Goldman Sachs il contesto operativo, già impegnativo all’inizio del 2020, è notevolmente peggiorato e la pressione al ribasso dei ricavi e quella al rialzo dei costi, senonché il deterioramento del credito, stanno portando le banche a riconsiderare le fusioni e acquisizioni come un percorso ragionevole per ridurre i costi e proteggere i profitti.