L’S&P 500 e il Dow Jones Industrial Average che hanno recentemente raggiunto rispettivamente il 23° e il 21° record dell’anno
Bitcoin ha superato i 60 mila dollari per la prima volta il mese scorso prima di ritirarsi di un 20%. Un anno fa veniva scambiato a dieci volte di meno
“Questa bolla è molto diversa da qualsiasi altra mai osservatasi. Tutte le bolle precedenti si sono verificate quando le condizioni economiche sembravano quasi perfette” ha affermato Jeremy Grantham al WSJ
Una bolla che non si è mai vista prima
“Questa bolla è molto diversa da qualsiasi altra mai osservatasi”, ha affermato al Wall Street Journal Jeremy Grantham, co-fondatore e capo stratega degli investimenti della società di gestione patrimoniale Grantham, Mayo e van Otterloo. Il signor Grantham è meglio conosciuto per aver predetto correttamente lo scoppio della bolla patrimoniale giapponese alla fine degli anni ’80, la bolla delle dot-com nel 2000 e la crisi immobiliare nel 2008. “Tutte le bolle precedenti si sono verificate quando le condizioni economiche sembravano quasi perfette. Questa è stata abbastanza diversa perché il mercato ha iniziato la sua incredibile ascesa in un’economia piuttosto ferita”. Tuttavia, al netto di questo dettaglio, non certo di poco conto, che può solo che peggiorare lo scenario, Wall Street in parte ha già visto questo film. L’eccessiva esuberanza degli investitori in una varietà di attività ha suscitato confronti con i giorni inebrianti dei ruggenti anni ’20. Le alte valutazioni dei titoli tecnologici hanno invece reso facili il paragone con il boom e il crollo delle dot-com di due decenni fa. Entrambi gli episodi sono stati segnati da drammatici crolli da cui ci sono voluti anni perché i mercati si riprendessero.
Questione di sopravvalutazione
Il problema è che questi mercati schiumosi sono storicamente durati più a lungo di quanto gli scettici pensassero possibile. Il che significa che uscire dal mercato troppo presto comporta la rinuncia potenziale a rendimenti molto ghiotti. Nel caso del Giappone, ad esempio, le azioni hanno raggiunto un rapporto prezzo-utili finale di 60 volte nel 1989 prima di iniziare il loro crollo e il successivo periodo di stagnazione decennale. Stando ai dati Dow Jones Market Data, l’S&P 500 attualmente viene scambiato a un rapporto prezzo-utili di circa 26. Un’altra misura di valutazione, chiamata rapporto CAPE o Shiller P/E, si attesta a livello ancora più alto di 37,6, un massimo da due decadi a questa parte: allora era il 1999 e l’indice segnava 44,2. Al contempo dozzine di titoli scambiano a rapporti molto più alti rispetto a quelli dell’indice: Tesla scambia a 1130 volte gli utili, Nvidia a 86 volte. Va detto, che comunque, alla luce dell’aumento dei tassi, molte azioni hanno ritracciato al ribasso. Amazon.com Inc., ad esempio, attualmente scambia a 79 volte gli utili, al di sotto della sua media quinquennale di 175. Il rapporto p/e di Netflix è attualmente a 62, in calo rispetto al suo mezzo decennio media di 195.
Scoppio in vista
Quando si assisterà allo scoppio? Il 2023 potrebbe essere una prima papabile data. La Fed si è infatti impegnata a mantenere i tassi prossimi allo zero ancora per un paio d’anni. Il che ha fatto, e probabilmente farà ancora, bene alla corsa al rialzo dei mercati. Tassi bassi infatti vogliono dire valutazioni, e dunque prezzi, più alte, in quanto i flussi di cassa delle società vengono scontati con il livello di tassi che c’è in quel momento sul mercato.
Le bolle degli anni ’20, ’80, ’90, e di inizio 2000 sono in questo senso di monito. Nella maggior parte di quei periodi, la Fed aveva infatti aumentato i tassi di interesse, per contenere i prezzi delle attività. Quando il Nasdaq Composite ha raggiunto il picco nel marzo 2000, ad esempio, la Fed aveva già attuato una serie di aumenti che avevano portato i tassi al 5,7%.