Trust e creditori: azione revocatoria a maglie larghe

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La pronuncia della Cassazione, dello scorso 13 aprile, ha evidenziato una chiara tendenza ad ampliare sempre più le maglie dell’azione revocatoria nonostante l’effetto segregativo dell’atto di trust. Ecco cos’è stato chiarito

La Cassazione è tornata a occuparsi dei difficili rapporti tra l’azione revocatoria e l’atto di trust. Lo ha fatto con una sentenza, la n. 9703 del 13 aprile 2021, che, in un sol colpo, ha chiarito ben tre punti controversi:

  • lo status di litisconsorte necessario del beneficiario di un trust, al pari del trustee, nel giudizio per la declaratoria di nullità del trust e la revocatoria del relativo conferimento;
  • la natura di atto a titolo gratuito del conferimento in un trust familiare ai fini del giudizio di revocatoria ex art. 2901 c.c., con conseguente irrilevanza della consapevolezza del terzo circa il pregiudizio recato al creditore (cosiddetto consilium fraudis);
  • la connotazione, come eventum damni, del conferimento in trust di beni già precedentemente ipotecati rispetto ad un creditore non ipotecario.

Il caso

Un istituto di credito otteneva l’accoglimento dell’azione revocatoria ordinaria promossa rispetto a un atto di dotazione di alcuni beni immobili, già gravati da ipoteca, all’interno di un trust familiare, che veniva effettuato dal disponente – coobbligato nei confronti della banca in qualità di fideiussore di una società mutuataria – in favore di una società di gestione (trustee).

Il suddetto conferimento, dunque, veniva dichiarato inopponibile nei confronti della banca dalla corte d’Appello che, nel confermare la decisione dei primi giudici, riteneva corretta l’integrazione del contraddittorio da questi disposta nei confronti del trustee, nonché la chiamata in causa effettuata dalla banca attrice di propria iniziativa nei confronti del beneficiario del trust stesso, coniuge del disponente.

I due coniugi ricorrevano in Cassazione per ottenere la riforma della sentenza di gravame, sottoponendo all’attenzione della corte tre questioni fondamentali:

  • la nullità della chiamata in causa della beneficiaria del trust, per difetto di autorizzazione da parte del giudice;
  • l’onerosità dell’atto revocando, istituito per adempiere alle obbligazioni coniugali di cui all’art. 143 c.c.;
  • l’impossibilità di ravvisare un pregiudizio in capo alla banca per effetto dell’esecuzione dell’atto revocando, essendo i beni conferiti già ipotecati a garanzia di altri crediti e restando, in ogni caso, il patrimonio del disponente inalterato rispetto al momento della stipula della fideiussione.

La decisione della corte

Interrogati sul punto, i giudici di legittimità hanno rigettato integralmente il ricorso, confermando in toto la sussistenza dei presupposti per l’esercizio dell’azione revocatoria da parte della banca creditrice. In particolare:

i. Con riferimento al primo motivo di gravame, la Corte di Cassazione ha rinnegato l’idea che possa essere sempre esclusa la legittimazione passiva del beneficiario nelle azioni di nullità del trust. Facendo proprio l’insegnamento delle Sezioni Unite (sent. 18 marzo 2019, n. 7621), è stato ricordato che, in virtù dell’unitarietà del rapporto di trust, il beneficiario ben potrebbe essere considerato litisconsorte necessario. Ciò in quanto, le posizioni giuridiche dei soggetti coinvolti risultano indubbiamente condizionate dalla contestazione della validità genetica del rapporto. La ragione è fin troppo intuitiva: l’accoglimento della domanda che mira a travolgere in radice il trust determina il venir meno di qualunque posizione giuridica soggettiva, ivi inclusa quella della beneficiaria. Insomma, il vincolo di interdipendenza tra la declaratoria di nullità e quella di restituzione dei beni ai quali la beneficiaria potrebbe avere una aspettativa giuridicamente tutelabile, basta a giustificare l’estensione del contraddittorio- anche di iniziativa dell’attore- nei suoi confronti.

ii. Quanto alla seconda doglianza, la Cassazione ha ricordato che l’atto di dotazione di beni in trust costituito per i bisogni della famiglia rimane un atto a titolo gratuito, non rappresentando di per sé adempimento di un dovere giuridico. Determinante, in tal senso, sarebbe proprio l’assenza di un’attribuzione in favore del disponente come contropartita. Né varrebbe a ribaltare le cose il fatto che- come rilevato dalla difesa- il trust sia stato istituito da entrambi i coniugi per garantirsi reciprocamente le prestazioni di tipo assistenziale e previdenziale alle quali sono obbligati l’uno verso l’altro ex art. 143 c.c., non essendo comunque obbligatorio per legge. Al contrario, in base al criterio dell’interesse, proprio il rapporto intercorrente tra il disponente e il beneficiario varrebbe ad avvicinare il trust familiare ad un fondo patrimoniale ex art. 167 c.c., di cui rimane pacificamente esclusa l’onerosità.

iii. Infine, rispetto al terzo motivo di ricorso, i Giudici di legittimità hanno dato seguito all’orientamento per cui la valutazione dell’idoneità dell’eventus damni va sempre proiettata verso il futuro, avuto riguardo cioè al momento in cui sul bene può essere fatta valere la garanzia patrimoniale. A rilevare, quindi, non è l’esistenza di un’ipoteca su un bene né la consistenza della garanzia ipotecaria, bensì la potenziale incidenza della causa di prelazione connessa all’ipoteca. In effetti, atteso che la garanzia potrebbe venir meno o ridimensionarsi, l’atto dispositivo del bene ipotecato rimane idoneo, almeno potenzialmente, ad arrecare danno anche al creditore non ipotecario. Pertanto, per un verso rimane imprescindibile una prognosi futura circa la potenzialità del pregiudizio nei confronti del creditore; per l’altro verso, diventa irrilevante il fatto che al momento della stipula il patrimonio del disponente sia equivalente a quello rimastogli dopo il conferimento di ulteriori beni in trust, perché ai sensi dell’art. 2740 c.c., il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i sui beni, presenti e futuri.

Conclusioni

In conclusione, appare evidente come neppure la segregazione patrimoniale possa assurgere da ostacolo alla tutela creditoria. La pronuncia analizzata, lungo il solco già tracciato in passato dai giudici di legittimità, tradisce infatti una chiara tendenza ad ampliare sempre più le maglie dell’azione revocatoria nonostante l’effetto segregativo dell’atto di trust.

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